«Ci sono stata nel ‘94, avevo sia Gianamedeo che Guenda e non pensavo di arrivarci. Ero su di una nave da crociera per fare il giro del mondo. Un viaggio destinato ai miliardari, quelli che adesso non vengono più organizzati, se non in prima persona da chi lo fa.
Partiva a dicembre e finiva a Pasqua con una tratta molto lunga. Era l’ultimo viaggio di questa nave enorme, la Daphne, che poi è stata venduta agli americane, ed ero stata ingaggiata per tenere compagnia agli italiani.
Ho avuto la possibilità di visitare tanti Paesi, il Vietnam, l’Indonesia, la Malesia, il Bornio, le Filippine, la Cina e il Giappone.
Un viaggio stupendo perché arrivare dal porto è diverso che all’aereoporto, perché si intuisce subito la realtà del luogo. Si stava tanto tempo sulla barca, ma facevamo anche molte escursioni.
Ed è così che ho conosciuto Sulawesi, sembrerebbe fare parte delle Filippine, ma è un’isola a sè, uno Stato a sè, di Sulawesi appunto, e si trova in Indonesia.
Nel cuore in assoluto mi è rimasta quest’isola. Soltanto una piccola parte è adibita ai servizi canonici, dall’aeroporto al porto, e poi c’è un’unica strada che porta all’interno e per accedervi si trova una sorta di frontiera. La popolazione dei Toraja ha deciso di non essere contaminata dal progresso e vive ancora sotto forma di tribù. Conservano le loro tradizioni intatte, ad esempio i funerali durano tre mesi. Le tumulazioni sono particolari.
Essendo l’isola lussureggiante e ricca di vegetazione, si può trovare di fianco al pino delle stelle di natale alte 5 metri.
Ogni casa ha la propria chiesa e questa viene costruita prima del resto.
E’ un paese animista, un dogma che fa un mixer tra gli induisti indiani e l’animismo. Hanno molte risaie che tengono curatissime, come accade in Vietnam, e vivono solo di coltivazione e di pastorizia.
Hanno rocce immense all’interno delle foreste tropicali, che scavano per infilarci le casse da morto non piombate. Le persone, nel tempo, siccome piove molto, si liquefà e il corpo putrefatto si trasforma in humus che viene ricoperto da rampicanti e da fiori. In queste rocce scavano poi delle caverne per fare una sorta di presepe viventi.
Infatti di tutte le persone morte e sepolte in quella parte di roccia fanno dei fantocci. In pratica le rianimano, le ridanno vita. Se muore un bimbo piccolo lo riproducono come fantoccio e lo mettono in braccio alla sua nonna.
Da questo viaggio in avanti,ogni volta che ho potuto ho portato con me i miei due figli, Gianamedeo e Guenda, e così li ho abituati ad avere le valige sempre in mano.
Inoltre, siccome so che alla fine mi diverto anche a condividere con loro delle esperienze, tendo, non soltanto a faredei viaggi dove sono presenti anche loro, ma anche a cercare di fare delle cose assieme. L’ultima? E’ stata quella di prendere tutti e tre il brevetto di immersione….Dovreste vederli in veste di subacquei….Sono meravigliosamente grandi la sotto e mi mettono addosso tutte le bollicine del mondo….»
Maria Teresa Ruta