Entre chien e lup. E’ l’espressione francese che richiama alla mente Marrakech, la città imperiale rosso ocra del Marocco. Si traduce letteralmente “tra cane e lupo” e si usa quando il sole tramonta, nel passaggio dalla luce al buio, proprio quando, per stabilire cosa sia quello che stiamo vedendo, si deve adoperare soprattutto l’immaginazione. Perché nel crepuscolo, tra le 18 e le 20, mentre irrompe il richiamo del muezzin alla preghiera, è l’ora in cui tutto può apparire ciò che non è.
Si intuisce quindi una città border-line, in sella a differenti confini, laicità e religiosità, deserto e neve, trapassato prossimo e futuro anteriore.
Qua gli estremi sono in transito verso un punto più moderno.
Le classiche tuniche del mondo islamico paiono camminare per strada come fantasmi e mentre da una parte l’antica oasi berbera sta cedendo il passo all’ombelico nudo con pearcing, dall’altra, lo “stile Marrakech”, sta catalizzando l’attenzione.
Molti riad, le antiche dimore padronali con cortile centrale, da sempre buen retiro di stilisti e diplomatici, vengono acquistati e ristrutturati dagli europei. Tra questi, ci sono tanti italiani alla ricerca della propria personalissima oasi a soltanto tre ore d’aereo dall’Italia.
Altri viaggiatori in passato li hanno preceduti, da Agnelli a Yves Saint Laurent, e una micro, ma buona ragione per farlo, è che questa città è sicura e, con qualche accortezza, la si può girare senza paura.
D’altronde, diventare proprietari di un pezzo di storia berbera è una tentazione alla quale è difficile resistere.
Non a caso, anche i Paperoni degli Emirati Arabi sono affascinati dal nuovo look marrakesciano e, tra le scartoffie dei progetti futuribili, ne hanno uno che prevede a Oukameiden, 70 km dal centro cittadino, una stazione sciistica dove il miraggio non sarà fare sciare da dicembre a marzo, perché già accade, ma quello di fare inforcare sci e racchette tutto l’anno. Anche ad agosto, con 45 gradi all’ombra.
Basteranno i soldi per vincere la sfida? La neve scioglie al sole da millenni, ma se accadrà il contrario, è pensabile che La Palmeraie, una delle zone più glamour di Marrakech, subirà un’ulteriore impennata di prezzi senza averne bisogno, considerato che un ettaro di terreno sfiora il milione di euro.
Babbucce da sultano ai piedi e copricapo anti solleone, stile Debra Winger nel film Il Tè Nel Deserto di Bertolucci, e Marrakech diventerà parte del vostro quotidiano.
Per conoscerla, almeno come si dovrebbe conoscere una città dalla quale farsi adottare per le vacanze o per lunghi week end, sarà meglio vi buttiate subito anima, fiato e corpo, nel caos della Medina.
Centinaia di sacri gatti randagi vi accoglieranno, ma sarà l’odore, acre o ammaliante, il rumore, sfinente o ovattato, la vista, colorata o allibita, il tatto, morbido o ruvido, a traghettarvi con forza nei cinque sensi mettendovi davanti ad un menu al sapore ancestrale di spezie.
Il labirinto dei souk, dentro la vecchia muraglia di cinta, vi invita al gioco di ritrovare in ogni quartiere i 5 elementi fissi: la fontana (evitate di bere), il forno pubblico (dove cuocere la pasta del pane), l’ammam pubblico (esperienza spartana, ma epicurea), la Scuola Coranica (superlativa La Medersa Ibn Youssouf del 1565) e la Moschea (vietato l’ingresso ai non musulmani, ma sbirciare si deve).
Scoprirete che tutto abita ancora qui.
Attorno a voi, ovunque un mestiere diverso, anche se la globalizzazione sta spazzando via quelli più antichi e sono molte le scritte arabe sui muri a ricordo sbiadito di botteghe già morte. Un peccato per le boutique straripanti di datteri e mandorle piramidali, destinate a sparire per sempre.
Anche gli artigiani marocchini stavano per inginocchiarsi a questa sorte, ma gli stilisti, da Yves Saint Laurent a Dolce&Gabbana, da Hermes a Jean Paul Gautier fino a Marta Marzotto, hanno creduto al lavoro manuale trasformandolo in un tangibile brand economico.
Vi mischierete insieme ai falegnami nel legno, ai fabbri nel ferro, e, grati per avervi colorato la giornata, vi verrà voglia di abbracciare il tintore mentre usa lo zafferano per il giallo, il papavero per il rosso, l’indaco per il blu, l’antimonio per il nero e il manganese per il verde.
Un mercato dei desideri possibili, tra babbucce, essenze, rafia, lana, lampade, tappeti, ciondoli e incensi, da contrattare fino all’ultimo dirham in uno scambio infinito di chiacchiere dove trasuda l’intima natura degli indigeni, curiosa delle diversità. Lo straniero si sentirà accolto e accettato.
Di giorno, nonostante i cambiamenti in atto, la tradizione sopravvive bene. Molti abiti velati, l’invito al te alla menta nel patio, le non manifestazioni d’affetto tra amici dello stesso sesso, il servirsi dal piatto più vicino con la mano destra.
Il buio pece, però, fa da sfondo alla frenesia delle cose che cambiano. I ragazzi e le ragazze marocchine non vogliono farsi mancare la modernità che stanno annusando e la riprova è nel loro modo di vivere, nella notte che libera le inibizioni facendo avanzare la movida, con i profumi seduttori dell’evoluto Occidente. Sono stati aperti molti locali alla moda e il divertimento, ricevimenti, ballo o karaoke che sia, non è più monopolio degli alberghi come accadeva fino a ieri. Non manca la sorella del Pascià, la famosa discoteca di Ibiza e, come accade al Comgtoir, i locali personalizzano la propria musica sullo stile del conosciutissimo Buddha Bar parigino.
Anche la celebre, suggestiva piazza Jemaa El Fna dà forma nuova al Maghreb e si trasforma più volte al giorno, ogni ora. Via i banchetti uso gastronomico, avanzino quelli numerati uso farmacia con il viagra in erbe (formula n. 5). Via questi ultimi, avanti con il “degga”, tipico ballo scandito a ritmo di mani, fatto da uomini anche travestiti da donne, in quanto l’universo femminile non può affacciarsi al mondo dopo una certa ora.
Sempre banditi gli alcolici.
Ed è in Jemaa El Fna, davanti all’unica “vannamarchi” marocchina e all’ultimo cantastorie Mohamed (li troverete alla destra di Les Terrasses de l’Alhambra), che la brava guida, Abouricha Abdallah, racconta quanto poco sia sopravvissuto della vecchia Marrakech, ex prima tappa della Via delle Carovane. Allora, dal deserto, arrivavano i Tuareg carichi di legname di palma e di pellame scuoiato, mercanzia da scambiare con quella cittadina. Oggi gli uomini blu arrivano sui dromedari, pronti a farsi fotografare con i turisti.
Quando la nenia del muezzin abbandona lo spazio più buio della preghiera incuneandosi come un lamento dentro l’aurora, per noi è il momento ideale per valutare che i cambiamenti sono stati anche logistici.
L’ultimo re Mohammed VI, salito al governo nel 1999 e considerato dal popolo un grande economista, oltre a rivedere il Codice della famiglia (dando più dignità alla donna), promuove il totale make up. Grazie a zone franche a disposizione degli Stati Uniti stanno arrivando ingenti investimenti esteri e un prefetto illuminato, laureato in Genio Civile, ha migliorato la viabilità, scommettendo sul verde di spazi alberati, enormi palmeti, grandi arbusti cespugliferi.
E non aspettatevi grattacieli. Tutto deve essere più basso di sei piani perché gli architetti hanno l’imput di usare come altezza di riferimento il Minareto della rosata Moschea Koutoubia (terminato nel 1199 e alto 70 metri), vero simbolo cittadino.
Tra le 18 e le 20, siamo di nuovo al crepuscolo, ed è l’ora di togliere l’ultimo dubbio.
Sia che abbiate camminato tra i fasti di un palazzo da pascià, sia abbiate calpestato lo sterco di uno delle centinaia di dromedari, ora saprete che tutto il nuovo, dal lusso all’essere umano, parla la lingua del rinnovamento filtrato al setaccio della tradizione.
E sarà questo ad intrigarvi, a farvi somigliare un poco alla protagonista del romanzo La terrazza Proibita di Fatima Mernissi, “ossessionata dal mondo al di là della soglia di casa”.
Anche di quella seconda casa che tanti italiani, dopo avere visitato questa città imperiale, sogneranno di acquistare.
E Marrakech è un’ossessione raffinata.