«Ne ho fatta una delle mie in Marocco nel 1978, ma alla fine tutto si è concluso bene. Dovevamo fare un filmato per la Rai dal titolo “Miraggi” e, in quel periodo, io e Romina eravamo in testa alle classifiche in Francia.
Purtroppo non si procedeva perché non appena si finiva di girare una scena arrivava il poliziotto di turno e ci sequestrava i macchinari e tutto il resto. Così ogni volta partivo, andavo alla polizia e cercavo di riavere il materiale. Avevo dovuto inventarmi che amavamo il loro Paese a tal punto che volevamo portarcene tutte le immagini a casa. Rabboniti ci ridavano almeno le attrezzature.
Un giorno, mentre eravamo a Fez, è capitata la stessa scena di sempre. Mi sembrava di rivivere lo stesso copione, ma siccome ero proprio stufo ho deciso, in preda ad un gesto estemporaneo, di andare direttamente dal Re. Mi avevano detto che si trovava in villeggiatura lì vicino.
Quando arrivai, incoscientemente, entrai direttamente con l’auto nel castello del Re. Fossi stato un terrorista avrei potuto fare uno scempio. Mi ricevettero e mi spiegarono che il Re non c’era perché due giorni prima era morta la sorella. Comunque presero nota delle mie generalità, di dove fossi alloggiato e mi dissero che mi avrebbero mandato qualcuno a dirmi qualcosa.
Ovviamente ero scettico, ma il giorno dopo al mio albergo si presentò il segretario particolare del Re. Gli spiegai cosa mi accadeva nel loro Paese. Non solo ci offrì la cena, ma il giorno successivo mi arrivò una lettera da parte del Royame du Maroc, siglata in calce dal Re in persona. Era una sorta di lasciapassare per Albano Carrisi e Romina Power. C’era scritto che potevamo girare tranquillamente e, nel rispetto delle leggi del Marocco, fare quanto dovevamo fare. Da lì in avanti, ogni volta che arrivavano per sequestrarci le attrezzature tiravo fuori la lettera e ci lasciavano andare subito. Una soddisfazione senza pari».
Albano Carrisi