C’era una volta un Re… ma qua c’è ancora ed è molto amato. Solo due anni fa, infatti, con una festa grandiosa la Thailandia ha reso omaggio ai 60 anni del Regno di Rama 9.
Un uomo, oramai ottantenne, di cui si percepisce la presenza anche nei templi di Bangkok, da quello dove dorme l’immenso Buddha Coricato, a quello dove impera il Buddha di Smeraldo al quale tre volte l’anno viene cambiato il prezioso abito d’oro e pietre. Ed è soprattutto lì, tra divini protagonisti, che non immagineresti di trovare la foto del Re e della sua famiglia.
Ma le tracce reali permeano davvero tutto. Già in Bangkok, una delle città più dinamiche del Sud Est asiatico, un brulichio di 11 milioni di persone e un rapido sviluppo industriale, i segnali impressi dal Re indicano cambiamenti di rotta, anche di carattere etico. E così i thailandesi oggi hanno nuove regole, come la multa di 2000 bath (circa 40 euro) a chi butta una carta a terra, o come, in controtendenza in questo farest del pianeta, la separazione dei fumatori da chi non lo è.
La vera memoria di Bangkok, però, è custodita da quello che nel 1400 si chiamava fiume Del Re, 370 km di acqua che iniziano a metà della Thailandia e finiscono a nord della capitale, unendo 4 altri fiumi e formando un grande lago. L’odore dell’umidità che marcisce il legno delle costruzioni ricorda vagamente Venezia e, anche se molti canali sono stati chiusi, il traffico su acqua è decisamente caotico.
I vecchi barconi in teak, quelli che un tempo venivano usati solo per trasportare riso, detti per questo rice-bark, vengono oramai utilizzati solo per i turisti. Ma ce ne sono a decine ovunque giri lo sguardo, da sponda a sponda nei due sensi di marcia e guardando avanti all’infinito. Trasportano ogni cosa immaginabile, sia cibareccia che artigianale, e ognuna è a tutti gli effetti un negozio.
D’altronde è sulle sponde di questo fiume che la gente vive, che i bambini, in particolare la domenica quando la scuola è chiusa, giocano e si divertono tuffandosi nell’acqua resa dal fondo fangoso colore del petrolio. Nuotano per nulla intimoriti tra coccodrilli selvatici, alberi di pane, fiori di loto rosa e bianchi, manghi e ficus religiosi.
Navighiamo tra una casa degli spiriti e l’altra, piccoli altarini in legno posti di fronte ad ogni abitazione per evocare la buona sorte, e quando arriviamo davanti ai grandi Templi centinaia di pesci gatto, anche di 10 kg l’uno, sostano a bocca aperta abituati a ricevere frutta o pane secco dai turisti. Sanno di godere di una zona franca perché nei luoghi sacri nessuno oserebbe pescare.
Anche le strade di asfalto sono molto caotiche. Auto, motorini, bici e tuk tuk i risciò dove pare di rischiare la vita ad ogni accelerata, chiamati così causa il loro rumore, intasano ogni metro, ma nessuno suona il clacson. E questo le vostre orecchie lo noteranno subito.
Con l’intento di seguire le orme del Re, lasciamo i templi cittadini alle nostre spalle, dal Palazzo Reale al Wat Pot al cui interno si trova anche una scuola di massaggio thai convenientissima, e ci spostiamo a Nord, dove spirano freddi venti cinesi. E qui sarà la storia già scritta sui libri di scuola a raccontarci del pugno di ferro e guanto di velluto reale, infatti Rama 9, caparbio e lungimirante, ha cambiato tutta l’economia di questa parte della Thailandia confinante con Birmania e Laos. Siamo nel cosiddetto triangolo dell’oppio dove un tempo si viveva del commercio di questo oro.
Ma esattamente 40 anni fa il Re decise di trasferire la residenza reale da Bangkok a Chiangmay, non solo si era accorto che la zona veniva spesso alluvionata perché le tribù delle montagne tagliavano gli alberi in maniera indiscriminata, ma sapeva che con quelle distese sterminate di fiori la popolazione produceva droga. E benché combatterle fosse facile, perchè quando fioriscono è impossibile non individuarne la coltivazione trasvolando con un elicottero, Rama IX voleva cambiare gli usi alla radice.
Il Re iniziò a visitare le tribù, portando loro medici e medicine, semiglie di frutta europea e spiegazioni su come coltivarla, dove e come raccoglierne i frutti. Addirittura trovò il modo di fare piovere artificialmente nei mesi arsi dal caldo, mettendo a disposizione di tutti i thailandesi le tecnologie più avanzate. Soltanto alla fine sfrecciò un duro attacco a quel sistema, dichiarando illegale la coltivazione dei papaveri da oppio.
Così, nei dintorni di Chiangmai, in poche centinaia di ettari, oggi ci sono 10 centri di addestramento con 500 elefanti studenti. C’è chi si ‘laurea’ in hula hop, ma anche chi stupisce i visitatori con esercizi di sollevamento pesi e chi dimostra di possedere un equilibrio degno di un trapezista. Ma i più bravi imparano a dipingere! Picasso e Van Gogh ne apprezzerebbero il tratto, a noi ha colpito il contrasto tra la loro forza e quei disegni gentili che hanno imparato a produrre. Quadri che trovano acquirenti disposti a sborsare anche 600 euro l’uno.
A pochi minuti da Maetang, circa 40 minuti da Bangkok, infine, c’è un villaggio con le donne giraffa, quelle dal collo lungo. Sono una piccola comunità di 60 persone, una decina di famiglie che qualche anno fa hanno accettato l’offerta del Governo tailandese di avere un luogo dove abitare, provvisto di scuola e di chiesa. Le donne si mantengono tessendo e producendo sciarpe e oggetti adatti alla casa, mentre gli uomini lavorano i campi vicini seminati per lo più a riso e grano. Oggi questa comunità, deportata dalla vicina Birmania, è diventata meta di turisti incuriositi dalla bellezza di queste donne che trascorrono la loro intera esistenza inseguendo un portamento reso quanto mai elegante da questi colli sempre più lunghi, dove ogni anno viene aggiunto un nuovo anello dorati così da tenderlo in modo irreale.
Attorno a perdita d’occhio piantagioni di teak, rigogliose grazie al rimboschimento obbligatorio e una natura poco domabile. In lontananza il fiume, quello del Re, che scorre immutato da secoli ricordandoci che qui il calendario segna l’anno 2551.