A fare del Monumentale di Torino un stio da visitare, sebbene tutto risulti molto curato, non bastano le tombe del popolare cantautore Fred Buscaglione (dove si intravede una bottiglia di whisky, vuota chissà da quanto tempo), o il sepolcro dell’attore capocomico Erminio Macario, che lanciò da Wanda Osiris a Raffaella Carrà. L’arte subalpina e la storia torinese in genere sono ben rappresentate, ma, girando il Monumentale si percepisce una certa separatezza tra i “domicili postumi” e la città stessa.
Nemmeno la sepoltura del Grande Torino, che dominò le scene calcistiche dal 1943 al 1949 vincendo 5 campionati consecutivi, ha contribuito a creare andirivieni di gente e, a parte le commemorazioni ufficiali, le visite ai sepolcri famosi risultano essere poche. Forse perché Torino tra le città italiane, è quella che interpreta meglio il legame con la Francia giansenista, molto vicina quindi alla Riforma, per cui il culto della sepoltura, e comunque l’ostentazione in genere, viene vista come qualcosa di disdicevole. Ah, riservati torinesi!
A questo va aggiunto che figure cittadine importanti, Agnelli, Bobbio, Garrone, per citarne solo alcune, non hanno qui le loro tombe di famiglia (tutte al paese d’origine). Quindi sebbene i percorsi della vita inevitabilmente dialoghino con le antiche memorie di pietra, a Torino sta mancando la continuità. Così la città, nonostante un passato di identità sepolcrale, non pare esprimere un presente, o perlomeno non così forte da suscitare quel sentimento popolare che unisca la collettività e trasformi il Monumentale in un luogo da vedere. Ed è un vero peccato perché ci sono centinaia di statue auliche, cappelle e colonnati di grande fascino architettonico.
Tra guglie neo gotiche, steli liberty e maestose zone dedicate alle sepolture collettive, ben emerge che Torino è stata residenza dei Reali, e ai visitatori, con l’ulteriore presenza di patrioti e ministri, viene restituito anche un pezzo delle vicissitudini del Risorgimento Italiano.