Se state mangiando una Caesar salad è probabile siate negli States, ma l’indizio non vi basterà per farvi dire in quale dei suoi Stati. Se, però, state fissando dritto negli occhi l’imperscrutabile sguardo di Crazy Horse non avrete più dubbi. Siete in South Dakota, il paese delle montagne colabrodo.Montagne bucherellate a colpi di dinamite per regalare al mondo sculture boteriane. E noi partiamo da qui, da una storia che, dopo avere trivellato tonnellate di roccia dando corpo ad un gigantesco capo indiano, vi penetrerà anche l’anima.
Gli americani, è risaputo, pensano in grande e questa statuona, ne è un esempio. Il suo scultore, Korczak Ziolkowski, è morto nel 1982 lasciando l’opera incompiuta, ma sua moglie Ruth e i dieci figli, 5 femmine e 5 maschi, tutti insieme, hanno deciso di raccogliere il testimone portando a compimento il progetto.
Per tutta la sua esistenza Korczak si è spellato le mani e rovinato i legamenti delle ginocchia tirando su e giù, per centinaia di gradini, senza l’aiuto di un’avanzata tecnologia, pesanti strumenti da lavoro e il suo effervescente ingegno. Voleva, fortissimamente voleva e adesso c’è chi vuole per lui.
Così i lavori proseguono ogni giorno, work in progress, ma scoprire che sono foraggiati unicamente dai turisti e dai finanziamenti privati, fa un certo effetto. Si lascia l’obolo più volentieri.
Davanti a Crazy Horse si vede realizzare in diretta la forza di un sogno, si accarezza con le dita quanto, anche la più dura delle rocce, possa diventare duttile stritolata da una caparbia volontà.
A breve distanza, il fascino di altre quattro facce scolpite nella montagna: Mount Rushmore National Memorial. Avvertiamo la sensazione di essere microbi e intimiditi. Siamo dentro la Storia, al cospetto dei volti dei quattro presidenti americani scolpiti nelle Black Hills.
I nomi di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roseevelt e Abraham Lincoln sono stati scelti per immortalare ai posteri una traccia del DNA di questa nazione. Quanto questi uomini sono riusciti a fare, insieme alle loro doti, umane, culturali e morali, ha certamente contribuito alla crescita di tutta l’America. Le loro faccione, stampigliate dappertutto, ammiccano di continuo ai viaggiatori e, considerato che ogni anno circa 2 milioni e 600 mila turisti visitano il sito, si capisce perché sia diventato il simbolo per eccellenza.
Prima che arrivasse Mount Rushmore, l’emblema southdakotiano era Tootsie, il coyote. «Bee bep!». Nonostante Will Coyote dei cartoon, lanciato all’inseguimento dell’uccellaccio, sia soo speedy, negli States, lo sappiamo, prevale l’idea di rispettare i limiti di velocità. Ma non facciamoci confondere da una segnaletica stradale che dichiara una velocità degna di una lumaca. Qua si ragiona in miglia e non in km. Quindi, se vedrete il cartello rotondo bordato di rosso, con il 30 stampigliato in mezzo, potrete viaggiare quasi a 50 km all’ora.
E rammentate anche di partire con il pieno perché le gas station sono davvero poche e addirittura pochissime se ne trovano sulla strada che porta all’interno del Badlands National Park, un deserto di sole rocce che erutterà sotto i vostri occhi colori diversi a seconda dell’ora della giornata. Venticinque miglia di pinnacoli svettanti e panettoncini di fossili che disegnano l’orizzonte, disturbati solo dalle nuvole. Seduce tutti.
A perdita d’occhio il rosso terra fa l’amore con il marrone roccia e le orizzontali venature striate delle Badlands regalano l’effetto di sagome che avanzano pronte a stregare. Tutto intorno per ore, non una pianta, fiori, corsi d’acqua o insetti, solo resistenti animali delle praterie, alcuni annunciati dal cartello rattlesnakes, serpenti a sonagli, che, fortunatamente, al massimo si sentono, ma non si vedono.
On the road da nord a sud, tra Deadwood e Hotsprings, invece, si procede dentro un film western rivisitato, molto ben cavalcato da questo Stato dove il commercio punta anche sulla vendita d’impulso di tradizionali stivali a punta in cuoio lavorato, speroni luccicanti sotto forma di gadgets e cappelli rigidi a tesa larga stile Heath Ledger, il cowboy protagonista del film Brokeback Mountain (girato nel confinante Wyoming).
Basse case in legno pittate di fresco addossate l’una all’altra, saloon totalmente riammodernati e casinò aperti tutta la notte raccontano la proiezione di un mondo che fu e che qui rinasce ogni secondo. Anche le leggendarie figure di Calamity Jane e di suo marito, lo sceriffo Hickok, detto Wild Bill, entrambi abili pistoleri e giocatori d’azzardo, sono state riabilitate e le loro tombe, due milioni di visite l’anno, riposano tra gli onori cittadini di Deadwood, nel Mt. Moriah Cemetery.
In particolare Hickok, amico di Buffalo Bill, trovò la morte dentro il Saloon No.10, nel cuore di Deadwood, per mano di un certo Jack McCall che gli scaricò alle spalle due colpi della sua calibro 45, durante quella che è diventata la più famosa partita a poker del western. Il locale esiste ancora e, non solo ha mantenuto il nome, ma è stato ricostruito quel tavolo e quella sedia, con targa commemorativa per l’immancabile foto.
Comunque the mission, oramai not impossible, del South Dakota, pare essere quella di ridare sempre più dignità alla storia degli Indiani D’America.
In tutti i musei, nei libri, nelle insegne, persino nella grafica del tovagliame da bistrot, c’è attenzione alla saga dei Sioux e delle sue tre tribù, i Lakota, i Dakota e i Nakota. A nord di Deadwood, sulla Highway 85, all’interno del museo Tatanka: Story of The Bison, ad esempio, le gesta dei Lakota vengono ripercorse seguendo le orme di Kevin Kostner nel film “Balla coi lupi”. In esposizione, i costumi indossati dai protagonisti e un’enorme scultura in bronzo con 14 bisonti inseguiti da 3 indiani a cavallo. Molto suggestiva la veduta esterna che spazia su Montana, Wyoming e North Dakota. Come dicevano i Sioux, «Washtaye» – molto bene.
L’essenza di questo Stato, però, la coglierete soltanto tornando ad inizio giornata, all’insolita proposta mattutina The Bison, che trovate in tutti i menù e dove c’è tutta la tradizione di questo luogo e delle sue sconfinate praterie verde-giallo. Siamo in uno Stato allevatore e i bufali sono una grande risorsa, non soltanto in campo alimentare.
Se entrate dentro uno di quei labirintiaci centri commerciali, aperti 24 ore al giorno, e vi guardate attorno, scoprirete che con le parti del bufalo potreste arredarci un’intera casa. Muscoli, corna, pelo, coda, carne, persino lo scroto, vengono trasformati in suppellettili, ciotole, soprammobili, utensili, pettini, arnesi, mocassini, cibi, medicine. Non si butta nulla.
Per questo la prima settimana di ottobre, l’annuale censimento viene spettacolarizzato e trasformato all’interno del Custer State Park nel Buffalo Round Up, un evento che richiama migliaia di persone da tutto il mondo.
In un’atmosfera da Wild West, tra inseguimenti e grida, zolle di terra che volano sotto lo scalpitìo degli zoccoli, decine di cowboy a cavallo (e anche cowgirl, tra le quali l’ultima eletta, la reginetta Miss Rodeo), nonché decine di mandriani a bordo di jeepponi, sono in grado in poche ore di radunare migliaia di capi. E dopo l’incanalamento delle mandrie in appositi recinti, il pubblico potrà assistere alla loro marchiatura e pesatura.
Una giornata d’altri tempi, come si addice ad una terra che profuma di polvere e di pepite d’oro. Uno spaccato identificativo di un intero Stato, ma anche l’occasione per essere i protagonisti dell’affascinante perduto Vecchio West, il cui originale lo si ritrova soltanto nei film di celluloide proiettati dalle sale dei cinema d’essay. John Wayne approverebbe.