Case disposte su terra bruciata o su palafitte, tra cormorani, scimmie urlatrici, coccodrilli, ma anche tapiri, orchidee nere e caoba, rispettivamente animale, fiore e pianta nazionale, incastonati su immacolate spiagge coralline bagnate da acque che attraversano tutte le tonalità dell’azzurro fino al blu più oceanico.
Siamo in Belize, un piccolo Stato del Centro America dove l’unicità del suo odore, miscuglio tra legno umido e fiori, vi resterà nelle narici per molte ore prima di farci l’abitudine. Un Paese dove una generosa natura, chilometri di corsi d’acqua e bestie di ogni tipo sono talmente invadenti da costringere l’uomo ad ingegnarsi per non soccombere.
Alti pali staccano dal suolo madre la pavimentazione delle abitazioni, e in tal modo si evita l’umidità, ma era trovare quelle aree di cenere nera, una sorta di fossato perimetrale intorno alle case, a lasciarci straniti. Poi abbiamo saputo: in questo empirico modo si allontanano gli striscianti e numerosi rettili, tutti gli esemplari di fauna che altrimenti diventerebbero sgraditi ospiti tra le stoviglie della cucina, le suppellettili del salotto e, ancora più intollerante, tra le lenzuola della camera da letto.
Vi attirerebbe dormire con un serpente?
Il Belize al primo sguardo e respiro, se non vi lascerete ammaliare dalla natura e dalla piacevole assenza di polveri sottili e gas di scarico, potrebbe sembrarvi ostico. Non ha strade praticabili e ogni spostamento richiede tempo e Jeep, oppure la possibilità, dai 60 dollari americani in su, di prendere gli autobus volanti, dei piccoli Cessna bimotore. Hanno orari scalettati tutta la giornata e fermate a richiesta anche ogni venti minuti di tragitto. E soprattutto atterrano e ripartono ovunque, da strisce di pista che dall’alto sembrano più corte dello stesso velivolo nel quale sarete seduti. Niente paura, anche quando vi parrà di atterrare in mare, i piloti delle due compagnie interne, Maya e Tropic Air, sanno cosa stanno facendo.
Ma l’esperienza irrinunciabile resta quella di risalire il New River, un fiume del nord che vi porterà fino agli scalini del sito Maya di Lamanai. Ci si arriva con due ore di navigazione, nelle quali risalirete la corrente avvistando tucani, aironi cinerini e, se sarete attenti alle sponde, coccodrilli sonnacchiosi in attesa di prede.
A metà del percorso, una serie di rudimentali casette e panni stesi al vento, lontani da comodità e centri abitati, vi incuriosirà. Dagli anni ’70 ci vive una comunità di Mennoniti, protestanti che formano una delle chiese anabattiste più importanti. Non è insolito incrociarli fermi su barchette nell’atto della pesca, anche se ci è parso non amino socializzare.
Ad accogliervi, tra le rovine dei Maya dove soltanto 15 anni fa, sfruttando il fiume, vivevano ancora alcuni loro discendenti, saranno le grida delle scimmie urlatrici e se non le avete mai sentite prima, fino a che non saprete di cosa si tratta, non starete tranquilli. Il loro richiamo è inquietante, ricorda un possente lamento umano, decuplicato dalla presenza di centinaia di esemplari. Un piccolo museo vi spiegherà la storia del sito prima che vi avventuriate per i sentieri ombreggiati da piante secolari dalle quali, come per magia, sbucheranno le piramidi. Dopo il Giaguar Temple, dove venivano fatte offerte agli dei, per arrivare al Musk, il tempio più bello, ci vogliono circa 20 minuti di cammino. Tutte le statue vengono rappresentate con i denti e questo testimonia che mangiavano sano.
Poco lontano c’è il Lamanai Outpost Lodge, un resort con 20 camere in mezzo alla giungla beliziana. Non impattano come ambiente e, soprattutto, sono la base per escursioni naturalistiche interessanti. La camminata tra gli armadilli o, tre volte, alla settimana, la gita notturna su grosse barche da laguna per incontrare i coccodrilli. Verranno con voi Maurizio e Eddy, due volontari che lavorano per l’Università dello Stato della Florida, addetti a raccogliere dati per monitorare il monrella cocodrile, una specie che rischia l’estinzione.
Il Belize è soprattutto questo: un’immersione dentro la natura più selvaggia.