«Sono un pessimo viaggiatore perché io guardo tutto e non vedo niente. Arriviamo nelle città e non abbiamo occasione e tempo per visitarle, si arriva stanchi da trasferimenti e ritmi vorticosi ed è difficile recuperare la voglia di fare visite. Chi fa questo lavoro, conosce soprattutto ristoranti, teatri ed alberghi. Queste sono le nostre tre capanne. Quando è il momento di viaggiare sono talmente stanco di disfare e fare bagagli che non riesco mai a ripartire.
Ciò nonostante, anche io ho le mie memorie di viaggio. Ad esempio ricordo che quando avevo 13 anni sono stato a cantare in tournée e ho fatto New York, Philadelpia, Chicago e una parte del Canada. In ballo c’era soprattutto lo stupore del mio primo viaggio, fissavo i grattacieli dall’auto al punto da farmi venire il torcicollo. Oggi i ragazzini, anche quelli che non viaggiano, lo fanno grazie a internet, oppure viaggiano con il pass con scritto il proprio nome al collo e vanno e vengono, prelevati all’aeroporto non so per dove, non so da chi. Ma quella tournée l’ho fatta in nave, e ho sofferto anche il mare quindi è stata anche dura. Mi ricordo però le grandi passeggiate sul ponte, ero con la figlia di Sergio Bruni, un cantante napoletano, e con lei quasi quasi ci fidanzavamo, avevamo la stessa età ma era lei che mi guidava per mano attraverso la nave perché era più marinara di me, e sì che vengo da una famiglia di marinai, mio nonno, mia mamma, mio padre, miei zii sono tutti marinai…Per questo ho voluto intitolare un mio spettacolo “Canto perché non so nuotare” per dire che c’è sempre qualche bracciata in più da fare nella vita, sennò affondi.
Non torno sovente dove sono nato, cioè al Pallonetto di Santa Lucia, ma torno a Napoli. Al Pallonetto non ci torno volentieri perché come si dice in francese ‘tout casse tout passe tout lasse’, cioè tutto si rompe, tutto passa, tutto ci lascia. Le cose cambiano e per questo non mi piace tornare e vedere i cambiamenti, preferisco conservare i miei ricordi altrimenti ci rimango male. E’ come rivedere il primo amore lasciato a 16 anni e ritrovarlo invecchiato e cambiato in modo esagerato. E’ meglio non rivederlo.
Invece c’è un luogo dove sono andato soltanto per imparare l’inglese, ed è Manchester. La mia press agent voleva mandarmi a Londra, ma io preferii scegliere un posto dove non fossi conosciuto, mentre sapevo che Londra era piena di italiani. Sono arrivato il 15 di agosto con il mio vestito di lino bianco, camicia e cravatta, le mitiche scarpe da tennis Superga, una valigia ricca di completi leggeri e trovai un freddo bestiale. Ho dovuto comprarmi tutto, compreso il giaccone. Comunque riguardo alle lingue sono strano, anche quando le capisco, se mi emoziono non riesco ad usarle. Ad esempio il francese lo saprei abbastanza bene, ma quando sono obbligato ad usarlo adopero 100 vocaboli.
L’inglese è una lingua che amo, ma mentre all’inizio l’inglese erano i Beatles, dopo è diventato Shakespeare, insomma cambia a seconda della mia età. Sapere leggere Shakespeare in inglese è meglio che leggerlo in italiano. A Manchester ad esempio sono stato un mese e mi facevo 4 miglia e mezzo a piedi per andare a scuola e, non a caso, passavo per Shakespeare Park….
Voglio dire infine che mi piace Dostoevski quando scrive che i più bei viaggi si fanno alla finestra, così l’incognita te lo puoi immaginare come ti piace. Sono due i viaggi che ho fatto senza muovermi. Il primo grazie a Elsa Morante e al suo libro L’Isola di Arturo. Questa scrittrice conosce Amalfi meglio di me. Mi ha fatto ulteriormente amare questa città con i suoi racconti. Ho pianto a leggere dei viaggi del padre Gerace e di questo figlio che lo guarda come un Dio immaginando le sue avventure e della delusione che prova quando scopre la verità.
E l’altro è il Vietnam. Me ne parlò una ‘ragazzina’ di 84 anni a Milano 20 anni fa. Era una grandissima viaggiatrice e aveva visto il mondo 5 volte. Io facevo Barnum e legai con i familiari di una mia piccola ammiratrice, veneti trapiantati a Milano. Quando arrivavo a casa loro erano molto ospitali e mi davano vino bianco col Cassis, a me che non bevo. La nonna della mia ammiratrice, appunto, era meravigliosa. A dispetto dei suoi 84 anni, nei tre mesi estivi prendeva la sua valigetta, faceva i biglietti del treno e partiva per girare l’Europa, mi diceva di averla trascurata perché prima era attratta da rotte a lungo raggio. Fu lei a dirmi “Ho visto tanto, ma Hanoi è di una bellezza incomparabile, all’epoca nessuno mi aveva mai raccontato il Vietnam così. Per me il Vietnam era la guerra, era Nixon, Johnson, i Viet Cong e invece qualcuno mi regalò una lente diversa. Per questo, prima o poi andrò ad Hanoi».