È il paese dei gradini che salgono fino al cielo, talmente sono in alto i templi e le fortezze. Ma nessuna fatica, nessun fiato corto, potrà mai sminuire le bellezze dello Sri Lanka e delle sue antiche capitali perché in quest’isola si riesce ad assaporare le mille atmosfere del continente asiatico.
Siamo nell’Oceano indiano, una terra a forma di goccia immediatamente sotto l’India, ma circa sessanta volte più piccola, dove a scuola i bambini vestono impeccabili divise e sin da piccoli giocano a cricket, le palme da cocco invadono ogni carreggiata e sul margine non é raro incrociare elefanti/braccianti e l’arancio dei monaci in fila indiana contrasta con il verde della campagna e il grigio dei tanti giganteschi Buddha di pietra disseminati ovunque, e ai quali non bisogna mai voltare le spalle, nemmeno laddove é permesso farsi fotografare insieme a loro…
Con il nome di Ceylon questa terra è stata per oltre un secolo colonia britannica, diventando repubblica soltanto nel 1972 quando ha preso l’attuale nome governata da Solomon Bandaranaike, la prima donna premier al mondo.
La guerra civile scoppiata nel 1983 per le tensioni della difficile convivenza tra singalesi buddisti e i tamil induisti, è soltanto un triste ricordo, per cui i turisti sono in costante crescita. E la sensazione di pace si percepisce e aiuta a non preoccuparsi di altro che non delle bellezze che sbucano ad ogni angolo.
Dopo avere visitato la capitale Colombo, una città vibrante in bilico tra passato e futuro, la lasciamo all’alba per raggiungere la zona archeologica, il cosiddetto triangolo culturale, cuore centrale dell’isola e nel raggiungerlo ci rendiamo conto di quanto azzeccato sia Serendip, l’antico nome dello Sri Lanka che allude a tutto quanto di piacevole si può incontrare sebbene non lo si stia cercando.
Ed accadrà esattamente così, in un’inesauribile offerta di meravigliose inaspettate immagini senza tempo, vi troverete via via di fronte alla grande stupa bianca Thuparamaya di Anuradhapura, con il transito composto della scolaresca nella loro ordinata divisa. Oppure ad ammirare la semplice solennità del gruppo di anziane donne in preghiera avvolte nelle loro tuniche bianche, tra le rovine di Polonnaruwa. O, magari, vi verrà strappato un sorriso per l’inaspettata sorpresa degli affreschi del Quinto secolo raffiguranti cortigiane in déshabillé nella fortezza di Sigirya.
La nostra prima meta è proprio questa antica capitale con l’enorme roccione. Sigirya viene tradotto Lion Rock dall’inglese, e, nel nome, è indicato il modo in cui i visitatori avranno accesso alla parte superiore, attraverso le fauci aperte e la gola (‘giriya) di un leone (‘sinha), appunto. La fortezza sbuca dal verde della giungla con la sua particolare inconfondibile cima piatta di quasi 8 ettari di dimensione.
Lassù ci sono ancora i resti del palazzo rifugio del re Kasyapa inseguito dal fratello che voleva giustiziarlo in quanto aveva ucciso il loro padre. Per arrivare agli affreschi delle cortigiane svestite, prima, e a questa casa fortezza, dopo, e vedere cosa vedeva il Re, dovrete salire 1200 gradini e anche se del leone sono restate soltanto le gigantesche zampe scolpite nella roccia, se non fosse altro che per il meraviglioso panorama di cui si gode dall’alto, vale la pena non badare alla fatica.
Se invece cercate un memorabile scatto fotografico da terra, il migliore sarà quello che farete dalla piscina dell’Hotel Sigiriya Village, unico per posizione anche grazie al fatto che si trova nelle vicinanze del parco nazionale di Minneriya e vi potranno prenotare un safari emozionante tra branchi di elefanti in libertà.
La seconda tappa è Polonnaruwa, un’altra antica capitale con il grande Buddha di pietra di Gal Vihara in posizione di benedizione. La città ha ricoperto una posizione importante sotto il regno di Parakramabahu I perché questo re creò un ottimo sistema di irrigazione e diversi bacini artificiali (il più grande, l’omonimo Parakrama pare un mare) grazie ai quali non veniva sprecata nemmeno una goccia d’acqua, incrementando commercio e agricoltura.
L’altra antica capitale, la città sacra di Anuradhapura, Patrimonio Unesco, si trova alle pendici dello storico Malvathu Oya ed è ricca di dagoba (edifici a forma di campana costruiti in mattoni, detti anche stupa), monasteri e pokuna (vasche che fornivano acqua potabile, di cui la giungla é piena). E ad Anuradhapura c’è anche il suggestivo albero della Sri Maha Bodhi che risale al 245 a.C. perché nato da un germoglio dell’albero sotto il quale Siddartha raggiunse l’illuminazione, a nord dell’India.
Lasciare la parte archeologica dello Sri Lanka significa procedere verso sud fino alla cittadina di Kandy conquistata tra il 16esimo e il 18esimo secoli da portoghesi e olandesi, per finire poi espugnata dai britannici nel 1815. Ogni anno, tra luglio e agosto, in questa città viene portato in processione dagli elefanti la replica della reliquia più venerata dai singalesi, il dente di Siddartha, che in realtà è custodito nel tempio Dalada Maligawa. Non a caso Kandy é considerata la capitale religiosa ed è meta di pellegrinaggio per tutti i buddisti, in particolare quelli appartenenti alla scuola Theravada.
Nelle vicinanze, il giardino botanico Peradeniya, che risale al 14esimo secolo, vi permetterà di conoscere da vicino, annusandole e toccandole direttamente in natura, le varie spezie dello Sri Lanka, e anche di ammirare, in tutta la loro bellezza quasi finta, 300 differenti tipologie di orchidea.
Lasciando Kandy andiamo a visitare il tempio di Dambulla, preparandoci a salire altre centinaia e centinaia di gradini per arrivare alle sale dove decine e decine di statue di buddha, bianchi, smaltati, dipinti, creano un’atmosfera di simil beatitudine intrattenendo lo sguardo di ogni visitatore.
Soltanto dopo, puntiamo incuriositi verso l’Orfanotrofio di Pinnawela, un centro di recupero per piccoli orfani di elefante trovati abbandonati nella giungla e per altri salvati da morte certa in quanto malati (ce n’é anche uno a cui manca una zampa perché finito su un campo non ancora sminato dopo la guerra).
Saranno in tutto una sessantina e sono diventati il ritrovo di ogni viaggiatore, si ha la possibilità di vederli nutrire e, soprattutto, di assistere due volte al giorno al loro bagno nel fiume Maha Oya Rambukkana, forse il momento in cui l’animale ritrova di più, tutte le sue abituali movenze.
Comunque uno spettacolo da non perdere, perché per rivedere questi animali in libertà bisognerà attendere la giornata dedicata allo Yala, il più conosciuto Parco nazionale dove, se avrete fortuna, potrete ammirare allo stato brado sia il raro leopardo che il rarissimo orso (ce ne solo soltanto venti in tutto lo Yala).
Nel frattempo, l’auto ha preso a salire e il paesaggio sta cambiando perché siamo diretti a Nuwara Elya, una cittadina tolta da una cartolina d’epoca degli anni in cui la società bene di Colombo aveva comprato casa qui e ci veniva a fare le vacanze nei caldissimi mesi di aprile e maggio. A cornice del caratteristico quartiere Little England, tra piccoli lindi cottage e grandi ville padronali, i terrazzamenti di barbabietole e porri intervallati dalle immancabili piante di tè dentro i giardini privati, non manca nemmeno l’ippodromo. Ovviamente, tutto molto british.
Siamo a oltre 2000 metri di altezza proprio davanti al Pidurutalagala, la cima più alta dello Sri Lanka, tra morbide e sconfinate colline interamente coperte da piantagioni di tè e donne in sari, la tradizionale veste indiana abituale anche in Sri Lanka, che, in quasi ogni stagione, lavorano con velocissimi gesti delle mani togliendo le foglie arrivate a maturazione, in mezzo ad profumo di pulito dovuto all’altitudine e al verde che ricopre tutto. Non a caso gli inglesi che l’hanno colonizzata la chiamavano “la teiera dell’impero”.
Ovunque vengono ricordate le origini e la fama del tè di Ceylon, il più noto al mondo, ed ogni azienda, dopo una visita guidata, propone una degustazione ideale per farvi oltrepassare le porte dello shop e portarvi a casa qualche confezione di tè, magari quello preferito dalla regina Elisabetta, e, a quel punto, conoscerete già tutto il processo di lavorazione.
Fu lo scozzese Mr James Taylor nel 1869 a mettere a dimora le piantine da tè importate dall’Assam perché resistenti alla malattia della ruggine che aveva appena falciato intere piantagioni di caffè, facendole ammalare e costringendo i contadini a bruciare tutti i raccolti.
Per questa serie di eventi, grazie al fiorente commercio che hanno creato le piantagioni e per la fama che il tè di Ceylon si è conquistata, pur essendo in quota, a Nuwara Elya arriva anche il treno. A pochi km dal centro, la stazioncina di Nanun-Oya riporta anch’essa ad un’epoca che non é certo quella che conosciamo noi.
Qui fermano regolarmente i tre vagoni del treno ViceRoy che raccoglie la simpatia di tanti viaggiatori perché regala scorci singalesi che altrimenti si perderebbero per sempre tra le bellezze di questa montagna.
Mentre torniamo a Colombo da sud, subito dopo avere passeggiato tra le viuzze pavimentate a nuovo e sui bastioni della vecchia fortificazione dell’ex colonia portoghese di Galle, tra il suo bianco faro, lo stadio da cricket e la cattedrale Santa Maria fondata dai Gesuiti, ci imbattiamo anche nei fishermen di Weligama, i pescatori dal turbante, che pescano a poca distanza da riva in equilibrio sul loro palo.
E sarà questa l’ultima immagine che porteremo con noi in Italia, uno dei tanti affreschi che ci ha regalato lo Sri Lanka. Serendip, appunto.