“L’aneddoto che mi ha avvicinato al golf è l’erba. Avendo tempo a disposizione era la logica conseguenza fare qualcosa e per il fattore prato verde ho scelto il golf. Sul campo, o meglio, dovrei dire sull’erba, io mi sento a casa. Il profumo di questi tappeti verdi l’ho sempre avuto dentro e sui percorsi golfistici ritorna di continuo. D’altronde ci ho vissuto 25 anni sull’erba di un campo da calcio.
Agli inizi la mia più grande fatica è stata quella di scoprirmi mediocre in tutto. Così mi sentivo e così onestamente mi sento ancora.
Avendo iniziato soltanto 7 anni fa, non certo da giovane quindi, ammetto di avere qualche difficoltà a fare grandi miglioramenti. Il mio apprendimento è più lento e la memoria muscolare non è certo quella delle persone giovani.
Quando la giornata parte male è dura e in più devo riconoscere che è uno sport nel quale non mi diverto tantissimo. Mi piace certo, ma avendo fatto sport ai massimi livelli sovente fa capolino la sindrome del campione. Forse vorrei eccellere anche in questa disciplina sportiva, anche se oramai ho capito che non succederà. È questa cosa la patisco.
Sul campo, o meglio, dovrei dire sull’erba, io mi sento a casa. Il profumo di questi tappeti verdi l’ho sempre avuto dentro e sui percorsi golfistici ritorna di continuo.
La frustrazione di non giocare ai massimi livelli la tengo a bada purtroppo solo relativamente, mi arrabbio ma non voglio darlo a vedere. Quando mi capita di sbottare, ad esempio in un putt quando sbordo di poco, mi rabbuio e divento matto. Impreco dentro e a volte, anche fuori, anche se con la dovuta educazione, da gentleman. Ma, tra me e me, mi dico il peggio che potrei dire ad una persona con la quale ho molta confidenza, ‘Vai a casa, cosa stai a fare qua cretino!’. Alla fine però non mollo e finisco le 18 buche.
Io gioco al Parco di Roma, ma ho girato tutti i campi, anche quelli dei dintorni romani e li trovo tutti belli. Sono diversi, ma sempre con un contesto naturalistico interessante perché a me piace giocare in campagna, tra il verde e gli alberi e i campi visti hanno questa prerogativa.
Io mi do energia con qualche sigaretta in più. Non fumo in modo accanito, ma mentre attendo la partenza o anche quando la squadra, o la coppia davanti, è molto lenta, tiro fuori una sigaretta e fumo per rilassarmi. Così recupero subito la concentrazione ed evito di sbagliare il colpo.
Non mi piacciono i tempi morti ed il parallelo tra essere portiere e giocare a golf secondo me sta tutto nella concentrazione. Siccome io avevo un ruolo che richiedeva sempre moltissima attenzione, trovo che questo vada abbastanza d’accordo con la concentrazione necessaria per effettuare un buon colpo. E’ l’unica similitudine che mi sento di fare con il calcio e in particolare con il mio ruolo di portiere.
Abitualmente gioco con amici, da Giacomo Crosa a Massimo Giletti. Anche se siamo in relax c’è molta competizione, passare una bella giornata va bene, ma preferiamo sempre giocarci il pranzo o lo spuntino. Almeno diventa una partita vera e propria e ci si sente in gara. In mezzo, ovviamente ci sono tante prese in giro perché non siamo proprio perfetti e mettiamo al bando l’esagerata serietà, anche se alla fine vince sempre l’aplomb del golfista.
Un’ultima mia pecca. La cucina al Parco di Roma è buona, ma purtroppo per me il gusto del cibo cambia a seconda del risultato. Molto dipende da come è andata la partita, dal clima, dalla fatica fatta. Le variabili, almeno nel mio caso, non sono le spezie o la fantasia del cuoco, ma il risultato golfistico. Solo nel caso io abbia giocato bene anche il più semplice panino diventa una prelibatezza”.
Dino Zoff