Ogni Paese ha dei luoghi che sanno sorprenderti, dove niente riporta a cosa ci si aspetta. Nel nord del Vietnam, lontano dalle grandi città, è così. Infatti tra le montagne abitate dalle minoranze etniche (ce ne sono addirittura 53, il 15% della popolazione), le vietnamite che abbiamo incontrato non indossano l’ao dai, il tipico abito femminile, ma ogni etnia, dai Thai bianchi ai H’Mong, veste il proprio costume tradizionale che li contraddistingue. La salsa di pesce nouc mam con la quale si insaporiscono la più parte dei cibi, non è un semplice condimento, ma una salutare preziosa risorsa che integra vitamine e proteine compensando l’alimentazione rurale. La moto e la bici non sono l’alternativa all’auto, ma i mezzi abituali anche per la gita domenicale della famiglia.
Il nostro itinerario prevede la bella valle di Mai Chau con le sue piantagioni di tè e l’allevamento di bovini, per poi salire verso Muong Lo sulla strada della catena di Hoang Lien Son, per continuare verso Tu Le lungo il passo di Kahu Pha fino a Sapa.
Mentre saliamo verso il passo che ci porterà a Muong Lo, il più grande granaio di riso del Nord ovest e la capitale dell’etnia Thai, a tratti costeggiamo il fiume Nero, tutto attorno colture di canna da zucchero, piantagioni di arance e risaie dove ogni tanto spicca qualche tomba a testimoniare che c’è stato un tempo in cui si seppelliva sul proprio terreno e gli avi tornavano a mischiarsi a quella terra che avevano a lungo lavorato.
Lontano dalle cittadine, dove gli edifici sono stretti e allungati verso l’alto, nella campagna le case palafitte dal tetto ondulato in fibre vegetali o di vetro sono quasi tutte rialzate da terra e sopra vi sventolano le bandiere nazionali alternate a quelle sacre quadrate e colorate (poste anche in fronte agli edifici religiosi). Davanti agli ingressi abitativi la costante è trovare una gabbia con l’immancabile uccellino cinguettante (non solamente un decoro, ma un segno bene augurale per chi entra), per terra arnie di api e vasi di terracotta per la produzione del vino di riso si alternano a fogli di legno messi ad asciugare al sole.
Sui campi non ci sono pecore perché il clima è adatto soprattutto alle capre e alla sera quando i bufali, ancora utilizzati al posto dei trattori, rientrano verso casa vengono portati al guinzaglio o cavalcati dai giovani lavoranti. Seppure sentiamo dire che alcuni villaggi al confine con il triangolo d’oro (Thailandia, Myanmar, Laos) sono dediti alla lavorazione dell’oppio, ai più non interessa questa redditizia produzione perché questo popolo è abituato a lavorare sodo e sta chino dal mattino alla sera in mezzo ad enormi risaie, tramandando di nonno in nipote l’antica coltivazione, principale sostentamento economico.
Chi davanti ad un buonissimo caffè vietnamita dal retrogusto di cacao servito filtrato come fosse tè, chi dissetandosi con la Bia Hoi, forse la migliore tra le birre locali, l’inedito Vietnam che si sta materializzando davanti ai nostri sguardi si svela poco a poco, ma se ne intuisce subito l’appeal: una genuinità sconfinata.
Alcune famiglie della zona di Mai Chau che abbiamo appena lasciato alle nostre spalle, si sono ingegnate a lavorare nel turismo e anche se non troverete esposta l’insegna di guest house, basterà fare caso ai mini bus turistici parcheggiati davanti per individuare le case aperte al pubblico.
Col senno del poi, sarà questa l’esperienza più autentica di tutto il viaggio, perché per condividere la quotidianità della gente di montagna basta un pizzico di adattamento ad abitudini diverse dalle proprie. In ogni caso non immaginatevi di vivere come dei novelli Robinson Crusoe: avrete corrente elettrica e servizi igienici con docce ed acqua calda, e seppure le finestre delle palafitte dai pavimenti listati a bambù siano senza vetri, un tetto vi riparerà ampiamente dalle intemperie.
Solitamente si viene ricevuti attorno all’ora dei pasti e sono gli stessi proprietari a cucinare e a servirti a tavola, le portate sono abbondanti e, pur spaziando nelle ricette culinarie della tradizione, i cibi incontrano facilmente i gusti degli occidentali in virtù del fatto che la cucina vietnamita è leggera e propone molta verdura cotta proposta con diverse carni. I villaggi poi sono circondati da una sorta di eden, immersi in una vegetazione ricca di piante e di animali liberi e vivaci, per lo più cani abbaianti ed uccelli canterini, colonna sonora delle vostre notti.
Lo stanzone dove si dorme è sempre all’unico piano superiore e lo si condivide con i componenti della famiglia o altri eventuali ospiti in uno stile spartano, ma confortevole, ogni materassino posto sul pavimento è protetto da una zanzariera. In alcune delle cosiddette ‘case degli abitanti’, grazie a delle tende colorate che delimitano qualche metro quadro formando delle pareti di stoffa, i letti regalano una certa intimità.
Nel frattempo, abbiamo raggiunto Sapa dove ogni terreno, anche il più irto, è stato sottratto alla montagna e lavorato sfidando le leggi di gravità a risaie terrazzate. A seconda del periodo in cui si arriva, ci si trova davanti ad un oceano di fili fluttuanti al vento e non sappiamo se sia meglio ammirare il verde brillante del mese di aprile o il giallo dorato di settembre, comunque uno spettacolo unico e suggestivo al punto da trovarlo dipinto nei quadri, ritratto nelle cartoline e comunicato a promozione turistica del Paese in quei pochi cartelloni pubblicitari normalmente destinati alle elezioni politiche.
Sapa è un’ex stazione di villeggiatura montana fondata dai francesi nel 1922 e nell’area, grazie alle bellezze paesaggistiche, vengono organizzati molti trekking. Tra le alternative, un massaggio ristoratore che nella via principale viene proposto a 11 dollari, o una passeggiata dedicata allo shopping nel grande mercato en plein air di Sapa, il cui ingresso costa 40mila dong a testa (circa 2 dollari), denaro interamente destinato a supportare le tribù di montagna per la conservazione delle loro tradizioni. In particolare i H’Mong sono diventati abili commercianti, quasi tutti se la cavano e parlano discretamente l’inglese, il francese ed alcuni, anche l’italiano, soprattutto tra i bambini che scorrazzano festanti tra le stradine in attesa di una caramella o di qualche biro. Sullo sfondo di Sapa svetta fino a superare i 3000 metri Farsifal, la montagna più alta dell’Indocina.
Di alcune etnie si raccontano meraviglie, ad esempio delle donne dei Thai Neri di Tu Le si dice che tutti le chiedano in moglie perché sono le più belle, più alte della media e con una carnagione molto chiara, si dice abbiano l’abitudine di fare il bagno nude nel fiume che scorre dividendo il villaggio dalla strada principale. Che sia vero o meno, il passa parola oramai è diventato leggenda e ci sono molti turisti che si spingono fino al fiume. Mentre passeggiamo tra i tessuti indaco dei H’Mong neri e i copricapo a scacchi delle donne Thai (indossati per simpatia da qualche ragazza occidentale), alcune coltivazioni attirano la nostra attenzione. Come è accaduto nel miracolo dei pani e dei pesci, gli ingegnosi vietnamiti hanno imparato a moltiplicare la superficie coltivabile utilizzando anche terreni paludosi, vi creano sopra un reticolato di bambù e vi seminano piante rampicanti di fiori o di verdure, ottenendo, da spazi inesistenti, ampie produzioni di rose o di zucchine che poi venderanno al mercato.
Mentre cani stanchi della vita da cani ci attraversano la strada davanti alle gomme, scopriamo che partendo da Hanoi in treno si può arrivare ad una quarantina di km da Sapa, la stazione si trova a Lao Cai, terra di frontiera con la Cina, al di qua del ponte sventola la bandiera vietnamita rossa con la centrale stella gialla, mentre al di là, impera quella cinese rossa con nell’angolo alto a sinistra cinque stelle, una più grande delle altre quattro disposte a mezza luna.
Torneremo quindi ad Hanoi sferragliando, ma siamo contenti di essere arrivati fino a qui in auto, abbiamo avuto modo di vivere con i nativi, di fermarci a curiosare nei mercati più strani scoprendo quello degli insetti e delle tarantole seccate e fritte, abbiamo visto lavorare la pietra calcarea per realizzare souvenir, ed osservato come, ancora usando il vecchio metodo di un mulino di pietra ad acqua, si toglie la pula dal riso per sbiancarlo, ci siamo fermati a visitare alcuni allevamenti di salmoni e di storioni, abbiamo osservato danzare i Thai rossi e visto come coltivano il mais i Thai bianchi, assistito alla processione funeraria di un gruppo di persone con fascia bianca in testa e anche preso un battello antidiluviano per attraversare il lago di Thong Bao.
Visitando un’azienda vitivinicola abbiamo scoperto che anche in questa parte di mondo i più benestanti fanno il servizio fotografico matrimoniale in mezzo alle vigne, ed infine, dopo avere imparato a riconoscere le scuole o gli edifici governativi dal colore giallo senape, con passo incerto abbiamo imparato ad attraversare un fiume su un ponte di bambù. E mentre eravamo itineranti, ogni secondo di ogni giorno, semplicemente guardando fuori dal finestrino abbiamo visto mettere in scena rappresentazioni di vita reale, che da sole hanno valso l’intero viaggio tra le antiche tribù di montagna del Vietnam.