Vedere da vicino Gérard non delude: è come appare dentro il tubo catodico o in celluloide. Lo guardi negli occhi, imprestati all’animalesco Cyrano de Bergerac, lo ascolti fare un simpatico mélange franco-italiano e ne subisci il fascino a dispetto dei suoi 100 kg (?) e delle sue mani nerborute. All’epoca dell’intervista, durante una cena nelle Langhe, ovviamente a base di tartufi (4 etti), lo sguardo vigile e severo del busto marmoreo di Camillo Benso Conte di Cavour posizionato in una nicchia dietro di noi pareva non approvare il nostro parlare, eppure abbiamo argomentato anche di agricoltura (e Cavour ne è stato ministro). «Il Piemonte vince su tutte le altre regioni e quando arrivo non vedo l’ora di uscire dall’aereo per respirarne il profumo – ha detto Gérard mentre metteva il naso dentro un Barolo – La vostra cucina è più attenta a non mischiare i singoli sapori».
Non male detto da un francese a noi italiani che abbiamo sovente mitizzato i loro piatti, a volte storpiando anche le nostre ricette. Non a caso l’attore ha voluto farsi un regalo: imparare a fare la polenta e ha chiesto allo Chef Davide Palluda di insegnargli come girarla, quanto tempo e quale farina usare e l’Enoteca di Canale gli ha messo a disposizione i fornelli. E qui è venuto fuori l’uomo. Per antonomasia l’attore è in grado di non fare trapelare nulla di sé, ma lui si è dato senza recitare. Sotto i lunghi capelli biondi sprizzava curiosità e l’emozione era quella di un bambino iniziato all’arte.
Che l’attore fosse un custode del buon vivere, uno che si è conquistato i 4 by-pass sul campo, vivendo di pancia e assaporando i piaceri della vita lo sapevamo già. Per questo non stupisce mai quando si concede un ristoro tra le spire terricole di un fungo ipogeo, il tartufo bianco di Alba. «Ho libero soltanto il lunedì» ci aveva raccontato. Ciò nonostante nelle 36 ore a disposizione ha preso il suo aereo privato ed è arrivato nelle Langhe per fare di nuovo visita a questa terra. Cupido aveva scoccato la sua freccia anni prima, siamo negli anni ’90, quando Depardieu era stato padrino della Fiera del Tartufo, ed esattamente come avrebbe fatto con una bella donna, l’attore non aveva poi trascurato la conoscenza, anzi l’ha cementata ritornando a poggiare i suoi tre piedi, due calzati più il bastone (si era fatto male cadendo malamente), laddove si era “innamorato”.
«Mi piacerebbe molto trovare una vigna qui per produrre del buon vino – aveva confessato – ma non ha senso comprare ora che i prezzi sono alti e c’è chi vuole speculare». All’aeroporto di Levaldigi oltre alla presenza di Carlo Giusti, insostituibile amico-manager dell’attore, a Lorenzo Audiot, lo chef del suo ristorante parigino “La Fontaine Gaillon”, c’era anche il suo “trifolao” di fiducia Stelvio Casetta, colui che lo rifornisce dell’oro bianco.
Non a caso, una loro foto mentre insieme ‘cavano i tartufi’, capeggia anche nel ristorante parigino 70×80 da molto prima che Stelvio andasse a Parigi a portargli un cucciolo di Lagotto (pura razza da trifole). «Lo vuole proprio come il mio Bobo, bravo e tutto bianco» aveva spiegato il trifolao.
Depardieu ci è parso così, uno spontaneo Doc.