Il Sultanato dell’Oman sta vivendo il Rinascimento, non solo per la recente costruzione vicino alla strada che conduce al cuore di Muscat, della Grande Moschea del Sultano Qaboos, e tantomeno per i Suq dove oramai si risolve qualsiasi esigenza. Grazie ai proventi del petrolio ed alla mentalità progressista di questo Sultano, il paese è stato catapultato nell’era moderna e si trova in perfetta sintonia con i vicini Emirati dove l’oro nero da diversi decenni ha reso quasi tutti “Paperoni”. Inutile, comunque, negare il fascino di questo mondo misterioso ed un tempo inaccessibile, perché, arrivandoci, a dispetto del progresso in atto, si coglie subito la grande bellezza del forte contrasto tra il futuro che avanza e il passato ancora presente.
Grazie alla sua fortunata posizione geografica, l’Oman è stato crocevia di scambi e commerci ed ha un volto multietnico che si riflette in particolare nella gastronomia omanita con un fortunato mix di cucina tradizionale mediorientale e contaminazioni provenienti da Asia, Africa e Levante. Tra le ricette tipiche non bisogna perdere la shuwa, una pietanza a base di carne di capra, o agnello, in un composto speziato avvolta in foglie di banano e cotta alla brace. Ma a riscuotere consensi dai palati occidentali c’è anche il mishkak, il tipico spiedino omanita. Per chi invece preferisse il pesce, il samak bil narjeel, a prevalenza di tonno e sardine, viene marinato con zenzero, peperoncino, sale, lime e cucinato in una salsa di latte di cocco e aglio.
Anche le donne beduine sono solite cucinare questi piatti, in particolare nei giorni di festa. Ma la loro storia appassiona per altro. Chiunque incroci una carovana di cammellieri ne resta soggiogato perché tutto risulta ancora organizzato in maniera tribale, con abitudini che pescano nelle antiche civiltà persiane e persino mesopotamiche. Le beduine sono forse le vere icone femminili di questa lembo di terra. Avvolte nei loro lunghi tessuti, quasi sempre monocolore, anche accesi nelle tonalità, queste donne omanite conducono le loro giornate coprendosi il viso con maschere Burqa sormontate da una cresta che ricorda quella dei rapaci e che oggi, sebbene continuino ad assolvere anche ad altri compiti, come quello di difendere gli occhi dai raggi solari e dalla sabbia, fungono per lo più da decorazione.
La più parte delle beduine vive ora in modo stanziale, le loro famiglie hanno abbracciato l’agricoltura e sostano al limitare delle dune rosse del Rub’Al-Khali, il deserto dei deserti, detto anche “Quarto Vuoto” perché, con una superficie di 650.000 km2, superiore a quella dell’estensione della Francia, ricopre un quarto dell’intera penisola arabica su territorio omanita e saudita. Ma c’è chi continua ad essere nomade e vive in tende portatili di tessuto o pelo di capra e si sposta di villaggio in villaggio producendo particolari souvenir di carattere ornamentale, o piccoli oggetti artigianali, che verranno poi immessi sul mercato grazie alle tante escursioni in cammello organizzate e gradite ai turisti viaggiatori.
Mentre ci si sposta sul territorio omanita della Penisola arabica, la fama della via dell’incenso precede la visita all’area di produzione, estrazione (da maggio a giugno) e lavorazione (in estate).
Si sarà pronti a settembre per il grande mercato dell’incenso di Salalah, città che dal 2000 è anche sito Patrimonio dell’Unesco insieme ai quattro siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità che sono, gli alberi di incenso di Wadi Dawkah, le rovine dell’oasi carovaniera di Shisr, il porto di Khor Rori e il sito archeologico di Al Balid a Salalah, che si stima abbia origine nel IV secolo a.C. (anche se la città è stata ricostruita durante il periodo islamico medievale).