Per un muro andato giù, almeno una quarantina da allora (1989) sono venuti su. Siamo a Berlino e, oggi più che mai, ritornare davanti a quel muro simbolo delle due ex città divise, fa effetto. I pensieri vanno a quanto sta accadendo sulla scacchiera internazionale e a tutti quei muri che in Europa, e non solo, sono già stati eretti e a quelli che sono stati ventilati lo saranno nel breve.
I berlinesi forse ci passano davanti distratti, ma i viaggiatori guardano i pezzi di muro in piedi con occhio nuovo ed immaginano realtà poco lontane. Solo qualche istante, certo, perché Berlino, in fretta, ricalamita la loro attenzione e si procede via, liberi, per le strade di questa metropoli che così tanto piace a tutti, ma soprattutto ai giovani. È questa l’evidenza, perché la folla ha un’età media che non supera i 30 anni.
Un giovane magma umano che si sposta in quel centro che non manca, visto che se hanno tanti. Dalla Porta di Brandeburgo, quelle sei colonne quintessenza della metropoli, al perimetro di Bundestag, il Parlamento riprospettato da Norman Foster nel 1965, all’Alexander Platz, dall’altra parte con la Torre della Televisione che, pur essendoci in tutte le città, mentre svetta in mezzo a monumenti, qua pare assumere una dignità ulteriore.
Se poi procediamo nell’altra direzione, come accennavamo, si calpesta Potsdamer Platz con quella doppia fila di mattoncini incastonati come gioielli nell’asfalto che guidano dentro il simbolo della divisione, tra le lastre di cemento ricoperte da graffiti e pannelli informativi della riunificazione tedesca. Tutto attorno ci hanno lavorato pluripremiati architetti stellari, quali Helmut Jahn, Hans Kollhoff o il nostro Renzo Piano che l’hanno riportata all’antico fasto, per intenderci, passeggiando, pare di sentire risuonare le note del cabaret di Marlene Dietrich. Perché già come scrisse nel lontano 1910 Karl Scheffler, “Berlino è una città condannata a divenire in eterno, senza mai essere”.
Non si può quindi mancare alla passeggiata sotto i tigli, Unter den Linden, per eccellenza i due passi nella via berlinese forse più nota, visto l’imperiale boulevard con l’accesso non solo al Museo Guggenheim o al gioco di lucide trasparenze del Deutsches Historisches Museum, ma anche alla Bebelplatz, tristissimo teatro del rogo dei libri che volle Goebbels nel 1933.
E vale spingersi a Mitte, che in tedesco significa centro, ma che centro non è, che fa da maggiordomo ed introduce al primo quartiere della ex Berlino Est, tra i suoi negozi di oggettistica, abbigliamento e amene modernità. Se si seguono i famosi mattoncini, e si hanno buone gambe, andando oltre il Checkpoint Charlie (ex stazione di frontiera), si arriva alla Bernauerstrasse, per ammirare addirittura, sorvegliato speciale da una torretta di controllo, una piccola parte di doppio muro nella cosiddetta ‘striscia della morte’.
In questa immensa capitale che pare senza fine, e che, come la tela di Penelope, orgogliosa della sua quotidiana rinascita, sfoggia dal design di Prenzlauer Berg nell’ex Berlino Est, al frizzante quartiere di Kreuzberg nell’ex Berlino Ovest, i giovani di tutto il mondo arrivano a frotte, ma non lo fanno soltanto per visitare, studiare o socializzare. Li percepiamo sedotti da un segreto immateriale che la metropoli pare offrire e di cui le generazioni giovani di ogni epoca vanno alla ricerca. Praticamente un dono speciale, considerate le incertezze che i muri in corso di edificazione nel mondo vicino e lontano fanno immaginare. Un regalo che, in buona sostanza, possiamo definire ‘speranza nel futuro’. Berlino oggi è anche questo.