Per favore, una cioccolata calda.
Se gli antichi Mesoamericani sono stati i primi maestri cioccolatieri al mondo, per la gente di Oaxaca, non solo in calle Mina, una tazza di cioccolata fumante è parte del patrimonio culturale (magari bevuta assaggiando un boccone di pan de yema, una piccola “brioche” locale).
Siamo nello stato meridionale di Oaxaca (pronunciato “uahaka”) che, come recita il suo slogan, tiene de todo, anche l’orgoglio di avere dato i natali a Benito Juarez, il primo indigeno a diventare presidente del Messico.
Grazie alla presenza del 65% di indios (che nulla hanno a che vedere con l’India, chiaramente) le tradizioni hanno camminato passo passo e l’omonima capitale è cresciuta valorizzata non soltanto dalle fave di cacao. Qui si ascolta narrare la storia del mezcal col gusano (il verme dell’agave) di cui vanta le origini, non a caso le mezcalerie per intrattenersi la sera sono un piacevole siparietto.
Non solo, durante la visita allo stato di Oaxaca si incontrano le cosiddette ceramiche negre di San Bartolo Coyotepec, i tappeti di lana tessuti a mano nei telai di Santo Tomas e la lavorazione della pelle di Zaachila dove visse l’ultimo re Zopotopeca e dove, al ristorante La Capilla, frequentato da attori e personalità, si possono assaggiare 7 tipi diversi di mole, compresi quello rosso, giallo, negro e verde.
In particolare, nelle vicinanze non bisogna perdere la visita al pueblo di San Antonio Arrazola, soprattutto se vi è piaciuto il nuovissimo film di animazione Coco i cui personaggi animali ricordano i celeberrimi alebrijes, fantasmagoriche creature ispirate al folclore messicano e costruite grazie all’intaglio dell’albero copal. In questo villaggio, infatti, è nato Manuel Imenez scomparso recentemente, detto “L’intagliatore di sogni” in quanto è stato lui a crearli. Girare il suo laboratorio-officina è un’emozione continua per la fantasia che vi si percepisce e perché si coglie la stessa passione nei due figli Isaia e Angelico.
Poco lontano, sempre a oltre 2000 mt di altezza, ci sono i 23 kmq di Monte Alban (di cui è stato portato in superficie soltanto il 10%), dove, tra alberi di incenso (copal) e di pok (quello della cellulosa) si trovano edifici piramidali, residenze, scalinate, piazze, tombe stupefacenti, a maggior ragione se li si immagina come erano allora, colore rosso acceso, pigmentati quindi dall’ossido di ferro idratato che da sempre si trova nell’argilla.
Tra le curiosità, nel Museo del sito di Monte Albàn, sito Zapoteco e Mixteco risalente al 550 A.C costruito in posizione dominante sulla Valle dell’Oaxaca, dopo le contorte figure dei danzantes, con i serpenti piumati e le antiche simbologie allineate alle forze cosmiche, sono anche visibili i crani trapanati, la tecnica di neurochirurgia più avanzata allora a disposizione, praticata ampiamente vuoi come terapia per sindromi cerebrali, vuoi come elementi ritualistici.
Anche la capitale omonima, Oaxaca de Juárez, è bellissima, sia per la ricchezza delle sue centrali 29 chiese in vari stili anacronici, tra cui lo sfarzoso barocco della Chiesa di Santo Domingo del XVI secolo, adiacente l’interessante Museo delle Culture, o la Catedral Metropolitana del 1533, sia per la sempre festante piazza principale del la Constitucion (nello zocalo), regno di artisti di strada, musica e venditori ambulanti.
Soprattutto, questa brillante capitale sta salendo agli onori della cronaca per le moltissime Gallerie d’Arte rese ancora più internazionali dall’arrivo di tantissimi francesi e canadesi che hanno scelto di trasferirsi qua attratti dall’autenticità di questa terra e dei suoi abitanti.
Tra gli altri, forse tra i primi, c’è appunto La Galleria, fondata dal curatore Oliver Martínez Kandt, buon trampolino di lancio non solo per gli artisti messicani.
Infine, va considerato che con soli 50 minuti di volo e poche decine di euro, volando da qui, si gode delle famose spiagge di Puerto Escondido. Un assaggio marino che mi ha permesso di fare sedimentare le tante informazioni acquisite prima del volo transoceanico con Air France.