Mario Trimeri non è un uomo qualsiasi. È un gigante.
Un uomo tutto muscoli, volontà e gentilezza, il primo al mondo ad avere messo la firma su un record scalando non solo le 7 cime, ma anche i 7 vulcani più alti del mondo. Non gli ho chiesto nulla, soprattutto perché quando Maria Teresa Ruta mi parlò di lui la prima volta, non mi capacitavo di non averne mai sentito raccontare le gesta. Però l’ho osservato durante il tragitto fino a Milano, con lui e Milli, la compagna ideale per un uomo tanto in movimento, ed al rientro non avevo dubbi, Mario Trimeri è un gigante. Come i giganti che lui ha sfidato e vinto.
È stato paragonato a Messner, ma adesso che ho letto molto di lui, credo sia riduttivo. Non si è ancora più grandi se si riesce a fare tutto restando nell’ombra, pressoché ignorati dalla più parte dei media nazionali? Non si è ancora più forti se a conoscere il tuo volto sono soprattutto le rocce che, a tu per tu, ti hanno visto buttare fuori sudore, timori e gioia?
Mario Trimeri è a pieno diritto tra i grandi, ha trattato come fossero dune le Seven Summits, le vette fatte sue, una per ogni continente, in Asia l’Everest a m. 8.850, in Sud America l’Aconcagua a m. 6.962, in Nord America il Denali a m. 6.194, in Africa il Kilimanjaro a m. 5.859, in Antartide il Vinson a m. 4.897 e in Oceania il Carstensz a m. 4.884. E poi ha continuato, in quello che via via, sorprendendo lui per primo, ha preso forma come un progetto di vita, allargando la conquista anche ai coni dei vulcani più alti arrivando in cima all’Ojos del Salado, al Pico de Orizaba, all’Elbrus, al Giluwe, al Kilimanjaro, al Damavand e al Sidley.
Nei suoi libri fotografici, dove tra geografia ed aneddoti sono raccolti anche i suoi pensieri più intimi, emerge il carattere nobile di questo gigante umano perché Mario parla delle sue spedizioni con la stessa normalità di un uomo che racconta la propria passeggiata sui sentieri delle Dolomiti, non a caso si definisce “Un viaggiatore che va anche in montagna”. A maggior ragione per questo sarebbe uno da fermare per un selfie mentre cammina per le strade di Ferrara o di Bologna (le sue due città di riferimento), perché lui, esattamente come ho visto fare tante volte ad alpinisti scalatori con meno prestigiosi traguardi dei suoi, è l’uomo giusto al quale chiedere l’autografo da mettere in bacheca.
Però, forse, è proprio questo che Mario vuole, vivere le vette senza sollevare chiasso, per lasciarsi avvolgere da quel ridondante silenzio ovattato che lo accompagna mentre sale sempre più in alto. Ansimi, freddo, pioggia, ghiaccio, neve e vento a parte.