Fino a due anni fa la zona era soltanto un paradiso per tombaroli, un paesaggio lunare con buchi così enormi da sembrare abitato da grosse talpe, in fondo il luogo ideale dove dare voce allo stupore, “Non può essere una donna!”.
Sebbene sia stata ritrovata nel Nord, praticamente un altro Perù, lontano da quel Machu Picchu preso a simbolo, la Signora De Cao sta facendo parlare molto di sè. In questa parte si viaggia a pochi metri dal livello del mare su una costa caratterizzata dal deserto, tra coltivazioni monocoltura di canna da zucchero e non si procede in quota arrancando con il fiato mozzo. Ci si ciba di piatti di mare della tradizione locale come il ceviche, mentre il maialino d’India, tipico delle Ande meridionali, non sanno nemmeno cosa sia. Non si fotografano lama vestiti di coperte colorate, ma cani nudi praticamente senza peli. E uno di essi è stato anche ritrovato nella tomba della nostra Signora.
Siamo nei dintorni di Trujillo, affacciati sull’Oceano Pacifico e, prima di prendere un bivio a sinistra per Chocope, percorriamo una strada sterrata che sale dolcemente per chilometri dentro la Valle Mochica. Lentamente, ammirando i cactus creduti dagli indigeni guardiani delle case, arriviamo alla Huaca El Brujo, letteralmente lo stregone. I siti religiosi della zona sono tanti, ma per chi vive qua, questa è la ‘huaca più forte’ perchè gli sciamani ci vengono a fare i loro riti ancestrali attirati da una potente concetrazione di energia.
Il team di archeologi rifiutava di credere a quanto vedeva, a quei capelli lunghi e a quel bacino segnato da un parto. Mai prima di allora un essere di natura femminile aveva avuto nella morte gli stessi onori di un uomo come la mummia di questa Imperatrice Moche (si legge moce), un popolo vissuto oltre 1500 anni fa, ancora prima degli Inca. E scoprire che per diversi decenni alcune tribù sono state capeggiate addirittura da una ‘lei’ fa discutere. Forse perché in tutto il mondo non sono tanti i popoli che possono vantare un passato così antico e in Sud America tale fama fino ad oggi apparteneva soltanto ai Maia.
Nel sito trujillano stanno fervendo i lavori, in costruzione c’è un museo che aprirà entro il primo semestre del 2009 per ospitare la Signora De Cao e i suoi tesori. Ci vorranno anni ma questa scoperta farà brillare anche i Moche.
E’ stato emozionante vederla in anteprima conservata in una stanza al buio, ammirarne i due imponenti scettri e tutti gli ori, sapere come, step by step, è stata ‘scartata’ dal suo involucro di 28 strati e di 120 chilogrammi.
Ma ad impressionare è soprattutto la grande aspettativa che le ruota attorno. Non solo perchè la zona potrà conoscere nuovi flussi di turismo e godere di un benessere inaspettato, ma perchè questa sacerdotessa potrebbe segnare il riscatto del popolo peruviano. Il recupero dell’orgoglio delle proprie radici. In un recente sondaggio, infatti, è risultato che il 95% dei giovani tra i 18 e i 30 anni sarebbe disposto a cambiare subito passaporto con quello di un altro Paese. Sentimenti diversi da quelli dei vicini messicani fieri delle loro origini atzeche.
“La Signora De Cao potrebbe essere un grande stimolo per le nuove generazioni – conferma il coordinatore del Turismo per l’Europa Ricardo Baraybar dell’ente governativo Promperù – Scoprire che arriviamo da una civiltà con un passato così importante, da un popolo di così larghe vedute, lungimirante al punto da riconoscere eguale potere alle donne, dovrebbe risvegliare un grande senso di appartenenza al Paese”.
Il riscatto di questo gentile popolo potrebbe dunque partire dal Nord, una parte restata fino ad oggi all’ombra del visitatissimo Sud, territori relegati erroneamente a serie B da un meraviglioso, ma scomodo Cusco, dal lago Titicaca, dalle rovine Patrimonio dell’Umanità del Machu Picchu.
I piccoli villaggi di pescatori dove per pescare vengono ancora usati i caballitos de totora, le antiche imbarcazioni in giunco, o quelli dove la gente vive di agricoltura e artigianato, le stesse zone più selvagge della costa oceanica del Pacifico che mischiano sabbia fine alla terra scura del deserto che inghiotte tutto, ma anche l’impenetrabile foresta amazzonica con il paradisiaco punto dove due altri fiumi fanno nascere il maestoso Rio delle Amazzoni, non hanno sicuramente meno fascino. Sebbene sia sconosciuto.
Camminare sul lungomare di Huanchaco è un salto indietro nel tempo. Uomini mediamente bassi con una struttura dove le spalle sono più sviluppate del resto del tronco, pescano ancora in ginocchio o a cavalcioni di barchette piccole come loro. Sui banchi gli artigiani vendono i loro manufatti a prezzi convenienti perché qua il turismo massivo non è ancora arrivato. Un euro vale 4 nuevo sol (dal 1991 la moneta peruviana) e, quadri con cornice a 20 soles e bracciali a 8, sono ancora una realtà.
Dopo Huanchaco troviamo le rovine di Chan Chan, la città di fango dalle decine di labirinti ordinati, mentre, due ore dopo, superata la Pampa de San Pero con i suoi 30 km di deserto, si arriva a Chiclayo, una delle più grandi città del Perù dove si trova la Huaca Rajada, tra le più importanti scoperte archeologiche del secolo scorso, dove ammirare i resti praticamente intatti risalenti al II sec d.C. del Signore del Sipan, anch’egli della dinastia Moche.
Sono i luoghi che meglio raccontano di questi potenti regni di sabbia, dove tutto veniva costruito con questo materiale, dalle città e le sue case al vasellame, luoghi dentro i quali si sono sviluppate civiltà considerate tra le più sontuose visto i gioielli e gli ornamenti rinvenuti. Arte per gli dei realizzata con sofisticate tecniche di metallurgia che noi europei avremmo conosciuto soltanto secoli e secoli dopo.
Su questo tratto di strada incrocerete San Pedro de Lloc, il paesino che ha come protagonisti due italiani, vi è nato Cosè Andrè Razzoli e vi è morto Antonio Raimondi. Il primo nel 1824 a soli 24 anni da semplice capitano, disobbedendo all’ordine di non attaccare, decise le sorti della battaglia di Junin e fu una vittoria storica perché gli spagnoli fino ad allora erano restati imbattuti. Il generale Simon Bolivar in un’unica cerimonia, prima gli tolse i gradi e dopo gli diede quelli di Colonnello.
A Raimondi, invece, studioso autodidatta di biologia e rispettato scrittore di opere scientifiche, viene attribuita una delicata ed azzeccata definizione di questo Paese, “Il Perù è un mendicante seduto su una panchina d’oro”.
Altri italiani hanno cambiato le sorti di questo Paese. Dall’aeroporto al più sperduto angolo della foresta amazzonica imperversano i chioschetti gialli ambulanti che vendono gelato e cioccolata D’Onofrio. Si tratta di un emigrante italiano arrivato in Perù nel 1890, il cui marchio è diventato famoso in appena due generazioni. Il capostipite Francesco fabbricava di notte e vendeva di giorno con l’aiuto di una simpatica scimmietta che attirava i bambini. Qualche anno fa la Nestlè ha tentato di immettersi sul mercato con Sublime, una barretta di cioccolata in concorrenza a quella di D’Onofrio, ma per accaparrarsi davvero le vendite ha dovuto decidere di comprare gli stabilimenti del gruppo.
Se oltrepasserete Chiclayo di una trentina di chilometri, il Museo Tumbas Reales dove è esposta la mummia del Signore De Sipan, vi darà un’idea di cosa dovrebbe diventare quello in costruzione per la Signora De Cao. Oro e argento cesellato, monili di conchiglie rare, pietre preziose finemente incastonate, placche con esaurienti informazioni storiche e rappresentazioni teatrali ludiche, il tutto giocato in un’atmosfera semi buia che fa risaltare il luccichio di tutte le pietre e i metalli esposti.
Non resta che vedere se, rispetto al Signore De Sipan, la Signora De Cao avrà dalla sua la seduzione del femminile. Comunque sia, certamente tutto il Nord del Perù sta tifando per lei.