Sono passati oltre 10 anni da quando il cantautore rapper Caparezza lanciò il tormentone Sono Fuori dal Tunnel e questo talento pugliese sa ancora come trascinare il suo pubblico. Perché mentre fa spettacolo ammicca, sorride, si schiera, ma sempre cerca sia il divertimento e l’ironia a prevalere. Da dove arriva il suo nick name? “Caparezza è un nome d’arte che in molfettese significa, ‘testa riccia’, ma ci sono abituato sin da piccolo perché così la gente mi ha sempre identificato. In realtà mi chiamo Michele Salvemini e con il mio vero nome e cognome il nomignolo non centra nulla , però so che Rezza è un cognome italiano e Capa americano, così a volte mi sono divertito a dire che sono questi i due cognomi che mi piacciono maggiormente, e ad aggiungere che li identifico con il grande fotografo Capa e Rezza (Antonio), che è un attore molto bravo, sebbene grottesco”.
Si è trovato subito bene dentro al successo che lo ha letteralmente travolto con quel pezzo tormentone? “No. Mi ha strabiliato e mi ha messo soggezione perché non ero abituato a gestire la popolarità. Mi trovo meglio con l’impopolarità, ero perfettamente a mio agio come sconosciuto. Ho faticato perché mi riconoscevo con la frase di Oscar Wilde che dice, Quando tutti sono d’accordo con me inizio a convincermi che ho torto. Ecco appunto, questa frase mi ha turbinato dentro per molto tempo”. Mai pensato di fuggire? “Sin dall’inizio ho avuto la sensazione che un giorno mi sarei tolto da questa posizione, intendo che non smetterò mai di fare musica, ma chissà, magari potrei valutare di non presentarla direttamente alla gente o di scrivere solo per me come se stessi scrivendo un diario segreto”.
Ha avuto un’infanzia serena? “Credo di essere stato un bambino molto felice perché riuscivo sempre a trovare la felicità nelle cose, ma proprio per questo ho passato un’adolescenza molto brutta, difficile perché gli anni della fanciullezza stridevano con quelli che sono seguiti subito dopo. Per questo, soprattutto agli inizi, tendevo a portare elementi di gioco e di sorpresa sul palco. Tentavo di rifarmi ai momenti gioiosi di quando ero piccolo. Mi è sempre piaciuto avere negli occhi quella fiamma di stupore che mi ha sempre animato da piccolo”.
È dunque stato un adolescente inquieto. “Direi alternativo al resto, anche a ciò che era considerato alternativo. Sono sempre stato me stesso, ecco perché ero in difficoltà durante l’adolescenza. Solitamente in quella fase è soltanto l’aggregazione che crea la personalità. A me l’idea di un gruppo non è mai piaciuta e non ho mai avuto paura della solitudine. Anzi.”. C’è un professore che ha salvato nella sua memoria? “Forse quello di italiano, un certo Michele de Rienzo, ma nessun insegnante è stato determinante nella mia vita. Lo sono stati maggiormente i ‘professori non in cattedra’, quelli che ho trovato per strada e che mi hanno trasmesso le loro passioni e le loro esperienze”. C’è una frase degli inizi che sceglierebbe per regalarla ai giovani? “Tante e nessuna, anche perché non mi sento mai di dare dei messaggi. Sembra che io li dia, ma sono subliminali ed esprimono me stesso e le mie opinioni. Se proprio dovessi scegliere, sceglierei la frase di Cammina solo, che da detto Gandhi all’epoca delle sue battaglie del sale, ‘Se non rispondono al tuo appello, cammina solo’. Penso sia fondamentale perché è uno sprone a credere nelle proprie idee anche se gli altri non ci credono. E forse, se gli altri non ci credono, significa che sono grandi idee”.
Cosa avrebbe voluto le chiedessi? “Il raccontarmi è paradossale. Ogni tanto mi viene chiesto di fare l’opinionista ed io mi trovo in imbarazzo totale. E adesso so anche perché. Mi sono accorto che soltanto quando lo faccio con la mia arte, sono a mio agio. Quando lo faccio in maniera schietta e diretta mi sembra di fare un passo indietro. Forse, mi fa piacere dire se esiste una relazione tra arte e psiche e se l’arte può essere vista, sotto il profilo psicologico, come una soluzione ai problemi. In tal caso rispondo che l’arte è psicologicamente deviante, infatti, quando sono sul palco sono totalmente diverso da come sono nella vita reale. Sul palco mi trasformi e viene estremizzata la parte che di me è meno razionale, esce quella più emotiva”. Se quello sul palco è diverso, come è il vero Caparezza? “Fondamentalmente molto timido ed essenzialmente molto introverso. In effetti, visto che il palco mi trasforma, le uniche persone che mi capiscono davvero sono quelli che mi frequentano da sempre e che sanno che quella del palco è una dimensione atipica”. Quindi lei è un razionale? “Sì, il più razionale dell’universo, anche sentimentalmente, aggiungo, e lo sono perché ho paura. Solo sul palco non temo niente e nessuno”. Lei dal palco regala emozioni. Chi le regala a lei? “Quelle vere? Soltanto le persone comuni della vita reale”.