“Una questione privata”, è questo il titolo del film per la Tv con il quale Luca Zingaretti fece il suo ingresso al cinema. Ma oggi, tanto grande è il successo, che questo attore viene confuso spesso con il suo personaggio più fortunato, il Commissario Montalbano. Non a caso, più di una volta mi è capitato al suo arrivo in sala di sentire vociare tra il pubblico, “È arrivato Montalbano”. Ma se lui non se la prende ed ammette che per anni ogni giorno ha fatto una dura gavetta e che quel periodo lo considera una buona palestra di vita, ha anche la gentilezza di spiegare al suo pubblico il perché lui ce l’abbia fatta e come mai non è solamente quanto salta agli occhi.
Una carriera fortunata? “Agli occhi della gente la popolarità è arrivata immediata, ma senza quei 15 anni di duro lavoro alle spalle non ci sarei mai riuscito, non sarebbe andata così bene. La prova arriva dai reality che fanno diventare famosi in fretta, ma poi quei volti, per lo più, ritornano nell’oblio dal quale sono venuti”. Quali sono stati in passato i suoi attori di riferimento? “Sono stati due e di due diverse scuole: Robert de Niro e Anthony Hopkins. Il primo l’ho studiato molto bene, anzi, per lui ero diventato addirittura lo zimbello dell’Accademia. Ogni sera lo guardavo e riguardavo con il fermo immagine e al mattino riproponevo le scene a scuola. Per questa mania mi prendevano tutti in giro”. E per quanto concerne Hopkins? “Lui è arrivato dopo, ma per me oggi è il primo. Credo di averlo preferito a De Niro se non altro perché sono europeo e non americano. De Niro è come una bella villa hollywoodiana dove puoi trovare tutto, dalla piscina al campo da tennis. Invece Hopkins è come un castello scozzese, lì da secoli. Il nostro mercato culturale guarda troppo oltre Oceano, ma dovrebbe guardare di più alle nostre origini, che tra l’altro, sono anche le loro”.
Un amico l’ha coinvolta a fare il provino dell’Accademia, la classica casualità? “Un amico ‘trombato’ non può raccontarla in giro, ma è andata proprio così. Questo mio compagno del Liceo Scientifico era fissato con quel provino e ha fatto di tutto per convincermi a tentare insieme. A me spaventavano soprattutto le carte, perché bisognava presentare un sacco di documenti. Mi ha sedotto proponendo di occuparsene da solo. Lui non fu preso, ma io sì”. L’Accademia Silvio d’Amico è privata, ma molto selettiva. Quanti ci provano? “Ogni anno provano questa esperienza dai 400 ai 600 possibili allievi, ma ci sono soltanto 20 posti. Io ho avuto una buona stella, ma è un vero terno al lotto perché viene soppesata l’attitudine”. I suoi inizi come attore televisivo sono in Langa, nel cuneese. La ricordiamo in una “Questione Privata” di Fenoglio per la regia di Alberto Negrin. Ci racconta meglio? “All’epoca facevo teatro, ma, sebbene non potessi dichiararlo alla Compagnia teatrale, mi piaceva il cinema, quindi quando intrapresi quel film scelsi la strada del silenzio. Fu faticoso perché facevo ogni giorno il pendolare tra Brescia dove c’era il teatro e le Langhe dove giravamo il film. Facevo orari assurdi e rischiai parecchio”.
Fu quella la svolta? “No, però legato a quella volta ricordo un aneddoto molto carino, io e Negrin in toelette a lavarci le mani e lui che mi dice che attiravo la telecamera, che mi adorava e che si capiva subito. Nonostante un poco di vanità mi venne il dubbio che il regista fosse gay. Rimasi con questo pensiero per anni, ma nel frattempo non feci altro al cinema”. Glielo ha mai confessato? “Sì, gliel’ho detto quando ci siamo ritrovati girando Prenasca a Budapest. Oggi ne ridiamo”. È affezionato più a Perlasca o a Montalbano? “Come scegliere tra mamma e papà? Sono entrambi ruoli fatti con gran divertimento, uno arriva dalla fantasia del grande Camilleri, l’altro dalla vita reale”. Visto che a Montalbano si associano gli arancini di riso della Sicilia, quale piatto abbinerebbe a Zingaretti? “Io sono per i cibi semplici. Il mio piatto preferito è la pasta pomodoro e basilico. Pare semplice farlo, ma non lo è”.