Il racconto di un viaggio nella natura delle isole Pontine comincia all’alba di un nuovo giorno. Un arcipelago che sa riservare, al pari di rinomate mete anche lontane dall’Italia, scorci di autentico incanto, sorprese paesaggistiche, colori ed emozioni che ben riscaldano chiunque voglia farsi toccare, mille e mille volte, nel silenzio che amplifica gli splendidi rumori della vita selvatica. A una condizione: che lo si veda dal mare.
Il sole di oggi sorge, come sempre, proprio dal mare. Se consideriamo Ponza come un ipotetico centro di questo arcipelago, con la sua forma tipica a mezzaluna e l’isolotto di Gavi a nordest per cappello, separato infatti da questa soltanto da un canale di appena 130 metri, troviamo decisamente a ovest Palmarola, ancora a nordest la più settentrionale Zannone, e poi parecchio a sudest Ventotene e la vicina Santo Stefano.
Dunque quella palla di luce che si sta alzando dall’orizzonte di acqua, e che ben presto infuocherà queste rocce multicolori nel silenzio di un giorno che comincia, qui a Spaccapulpo pervade l’atmosfera di un pacifico languore, mentre lo scafo culla i suoi abitanti nell’eterno rollio e l’albero del Miguy con i suoi tre ordini di crocette scandisce nel cielo come l’ago di un pendolo il passaggio dalla notte al giorno.
Siamo a Ponza, ma i clamori dell’isola dei vip sono lontani. Se un armatore qui scruta le imbarcazioni per conoscere gli inquilini del mare suoi pari e un paparazzo tenta la cattura di scatti da gossip cercando volti noti, per un naturalista questo viaggio è una continua scoperta geologica e culturale. A ogni stagione. Qui infatti ogni roccia ha un nome, e una storia da raccontare. Ogni fessura, ogni anfratto, ogni grotta e ogni scorcio. Ogni scoglio e ogni cala.
Spaccapulpo ha un nome tanto duro quanto dolce e armonioso è il suo aspetto. L’influenza napoletana è vicina, e chiaramente il battesimo deriva dal gergo marinaro, da qualche pescatore forse arrivato in queste acque dalla vicina Ventotene: la storia racconta che nel 1734 Ponza venne ripopolata da coloni provenienti appunto da Ischia e dal capoluogo partenopeo, e questa stagione lasciò in eredità all’isola laziale numerosi toponimi campani usati ancora oggi. Ma questo grande scoglio che si erge a Cala dello Schiavone e riproduce un perfetto arco naturale scavato nel tufo è soprattutto uno dei monumenti naturali ponzesi. Che abbondano, ovunque si posi lo sguardo.
Basta disporre di un tender o di un’agile imbarcazione privata, eventualmente trovata a noleggio, per avventurarsi ad esplorare volte multicolori, grotte che all’alba si riempiono come di smeraldi, antichi reperti archeologici di pregevole fattura, cunicoli e anfratti che ricordano forme familiari. Ponza, dal punto di vista di un geologo, va esplorata palmo a palmo.
Se cominciamo da lontano non possiamo che far visita al patrimonio lasciato in eredità nientemeno che da Pilato di Giudea: la Grotta di Pilato apparteneva infatti a una ricca villa romana di cui sono ancora visibili sul promontorio numerosi resti. È scavata e intagliata perfettamente, anche sotto il livello del mare: risalirebbe al I sec. a. C. e comprende cinque vasche, di cui quattro coperte, che venivano impiegate per l’allevamento e la riproduzione di pesci, in particolare murene. Per questo il luogo è noto anche come Antico Murenaio.
E che gli imperatori e i nobili romani furono incantati da queste perle del Tirreno centrale lo si deduce facilmente leggendo la storia di molti siti naturali che riccamente ne testimoniano il passaggio. Come la punta e i faraglioni della Madonna, che un tempo erano collegati all’attuale zona del cimitero ponzese, a sinistra del porto se visto dal mare, e facevano parte della villa estiva di Augusto, di cui sono ancora visibili resti in muratura. O come la zona detta Bagno Vecchio, che conserva tracce di una necropoli con quattro tombe a camera sepolcrale scavate nella roccia, oggi pressoché cancellate da crolli e interventi di agricoltura. E come non ricordare il suggestivo tunnel scavato in epoca romana per raggiungere via terra la rinomata Chiaia di Luna, la spiaggia delimitata appunto a mezzaluna dall’imponente roccia bianca dall’altra parte dell’isola?
Per chi ama le immersioni, la storia antica rivive a una trentina di metri sott’acqua in prossimità della cosiddetta Secca dei Mattoni, vicina ai Faraglioni di Lucia Rosa di triste memoria (Lucia Rosa era una giovane, realmente esistita, che sul finire dell’Ottocento si lasciò cadere dallo strapiombo roccioso perché ostacolata nel suo amore per un povero contadino): qui dal settembre 1985, anno del ritrovamento, si può osservare un relitto di nave romana, contenente anfore e vasellame da mensa, databile anch’esso alla prima metà del I sec. a. C..
Altre testimonianze storiche, ormai pressoché rinaturalizzate, sono visibili a ogni metro. A Cala Inferno, ad esempio, i gradoni scavati nella roccia nella seconda metà del XVIII sec. per raggiungere dal porto le abitazioni dei coloni napoletani stabilitisi nella località Le Forna sono utilizzati ancora oggi. Qui si scorge ancora il cunicolo greco-romano che da Cala dell’Acqua arrivava fino al centro abitato di Ponza. Oppure, nella spiaggia urbana di Santa Maria, un edificio oggi adibito a pensione turistica ospitò Mussolini prigioniero dal 27 luglio al 7 agosto 1943, non lontano dai resti del porto romano.
Ma numerosissime sono a Ponza le meraviglie naturali che l’origine vulcanica dell’isola ha saputo creare, non tutte catalogate e scoperte probabilmente, che richiedono soltanto la curiosità e l’entusiasmo di un occhio attento per essere scorte. Le grotte azzurre, ad esempio, così chiamate per il fenomeno ottico davvero singolare che, in certe ore di luce, rende di quel colore i corpi qui immersi. O lo Scoglio Caciocavallo – per taluni Casocavallo – ammantato della leggenda che le donne sterili dell’isola vi si recassero in pellegrinaggio notturno considerando la sua forma fallica un sicuro portafortuna.
Oppure ancora la Piana Bianca, inaccessibile da terra, il cui colore è in realtà soggetto alle condizioni climatiche: con aria tersa e cielo sereno questo tufo diventa addirittura abbagliante, mentre la presenza di nubi e l’umidità nell’atmosfera ne tramutano l’aspetto in un grigio dalle tonalità decisamente scure. Per non parlare del Core, porzione di roccia dalla forma di cuore ferito, grondante sangue, che ben più goliardiche interpretazioni richiamerebbero invece a un ventre di donna nuda. O l’Arco del Parroco, fenditura spaccata alla base da sembrare la tunica di un religioso, denominato anche faraglione e grotta dei molluschi, così ampio da consentire – come l’arco naturale di Spaccapulpo, peraltro – il passaggio all’interno di una piccola imbarcazione.
Altre curiosità naturali sono visibili sopra come sott’acqua, piccole grotte raggiungibili soltanto a nuoto, sagome dalla forma di muso di volpe plasmato dall’alternanza di roccia e vegetazione intuibili a distanza durante una veleggiata, e mille e mille altre ancora che qui citiamo soltanto per invitarvi alla scoperta di luoghi tanto evocativi quanto sorprendenti: Cala Feola e Piscine Naturali, Cala Fonte, Capo Bianco con il suo passaggio sotterraneo e patria del falco pellegrino, Faraglioni del Calzone Muto, Grotta del Corallo, Le Felci, Orecchio Giallo, Punta Incenso e Scoglio dello Spumante.
Tra il caolino e la varietà dei tufi non sarà difficile distinguere antichi crateri ormai spenti, e i subacquei troveranno in tutto l’arcipelago colonie di gorgonie rosse, scogli affioranti ricche di vita e caverne sottomarine che da sole basterebbero per passarci la giornata. Curiosità personale: prima che faccia sera, trovate il tempo per un saluto a Silverio, a Cala Cecata, che in anni di appassionato collezionismo ha allestito e gestisce sull’approdo un semplice ma ricco museo del mare, che custodisce reperti di ogni genere e testimonianze storiche di nautica ponzese. E dopo una giornata così vi auguriamo di cuore una notte di riposo cullati al ritmo delle onde, siccome l’isola offre infinite rade adatte a ogni tempo e a ogni vento.
Il sole di oggi sorge, nuovamente, dal mare. Pochi giorni a Ponza bastano, in effetti, per ritrovare ancestrali ritmi naturali, come svegliarsi all’alba in uno stato di benessere pieno dopo essere scivolati nel sonno alla luce delle stelle. Ma la raccomandazione è sempre la stessa: a condizione che si viva sul mare. Anche in pieno Ferragosto, e vi sfidiamo alla prova: basterà infatti evitare il porto e la rada del Frontone, dove il traffico sostenuto e i rumori dell’intensa vita mondana restituiscono velocemente all’isola la fama che ha.
Anche oggi dunque la giornata per noi comincia presto, e promette ancora incontri, ancora emozioni. Lasceremo l’isola principale, alla volta della seconda per dimensioni e più occidentale dell’arcipelago: per raggiungere Palmarola, distante poche miglia, è consigliabile doppiare l’isolotto di Gavi, poiché il passaggio nello stretto canale fra le due terre – caratterizzato anche da scogli affioranti e da un fondale profondo fino a 4 metri – è consentito soltanto a imbarcazioni di media grandezza. Gavi è disabitata, patria dell’omonima ed endemica lucertola e di alcuni conigli, topi e scorpioni. Oltrepassata Punta Rossa, una bella virata al timone verso sinistra o – se si è fortunati – una sferzante bolina conduce senza fretta dritti in paradiso.
Silenziosa, regno di gabbiani e rapaci, capre selvatiche che si scorgono dal mare arrampicarsi su improbabili dirupi verticali: Palmarola prende il suo nome dalla palma nana che ricopre il versante occidentale, dicono le guide, ma l’esperienza di questa dea del Tirreno – riserva naturale abitata da un unico custode ma purtroppo d’estate violata da altri residenti – induce semplicemente alla contemplazione. E allora godiamocela, rispettosi di tanto splendore, prima che arrivino verso mezzogiorno i rombanti motoscafi dei reduci della notte ponzese, chissà perché consentiti così numerosi qui.
Anche quest’isola regala scorci geologici di straordinaria curiosità. Lo Scoglio Il Fucile è l’emblema dell’evoluzione di queste terre vulcaniche, poiché è quanto rimane di un arco naturale di cui crollò la volta a causa di una forte mareggiata, nel novembre 1966. Erosioni sia marine sia eoliche contribuiscono di anno in anno a modificare parzialmente l’aspetto di Palmarola, creando in tal modo nuove attrattive naturali per il visitatore. Ma è tempo di sbrigarsi, per raggiungere Punta Sardella prima che sia troppo tardi.
Tralasciate ogni altra rada, ogni immersione, ogni approdo per una passeggiata fin sul belvedere di 260 metri sul livello del mare da cui si gode una vista mozzafiato su Ponza e l’arcipelago: tutto questo può aspettare. Non così la spettacolare Cala Brigantina, un imponente anfiteatro naturale di tufo bianchissimo che racchiude acque cristalline verdi ed è la vera icona di questo paradiso, e per questa ragione anche la meta di quell’incomprensibile e davvero troppo intenso traffico nautico di cui non ci lamenteremo mai abbastanza.
Se l’ora o la stagione vi consentiranno la libertà della solitudine e del rispetto per questo luogo, prendetevi il tempo per un’escursione intorno al capo, a esplorare fondali e grotte, e poi una nuotata fino allo Scoglio Suvace, nei pressi del quale potrete tentare la salita a piedi nudi nonostante le dure increspature della roccia: perché la vista dall’alto di questa rada ripagherà qualsiasi graffio – è una promessa. Cala Brigantina ha preso il nome dai velieri a cui poteva offrire un approdo alla fonda e le cronache locali raccontano che, ancora nel ‘700, Palmarola era base dei pirati barbareschi. Dal punto di vista avifaunistico, questa zona è un’area di svernamento per centinaia di gabbiani reali e vi nidifica il falco pellegrino.
In cerca di una rada per passarci la notte, Cala Tramontana regala anche a un passaggio veloce dal mare la vista sulla sua imponente cattedrale naturale, ovvero una roccia a strapiombo che ricorda un edificio gotico grazie a sorte di archi a sesto acuto, contrafforti e pilastri di tufo. All’uscita della grotta-passaggio di mezzogiorno, lo Scoglio Pallante è dimora prediletta di una rara colonia di berte minori. Ancora, la Forcina è un’ansa di rilevante interesse geologico: la Grotta del Gatto, accessibile con una barca piccola, è arricchita da un’infiltrazione di acqua dolce; il Gran Varco è un’ampia fenditura che consente di leggere con chiarezza le differenti stratificazioni rocciose e le numerose colate laviche; dello Scoglio Sparmaturo si dice che abbia forma simile a uno spalmatoio. Ovunque siano, le notti a Palmarola saranno le più stellate che possiate immaginare.
Il sole di oggi sorge da Ponza. Sul Miguy ci si sente parte di un universo privilegiato, e la nuotata di prima mattina è lenta, silenziosa. E grata. All’orizzonte, decisamente a nordest, si vede Zannone, che sarà la prossima meta. Sia chiaro: nulla sarà più come quest’oasi, ma il miglior viaggio è quello che non finisce e comunque altre specie animali rimarranno a buon diritto a presidiare questo paradiso. Dunque si salpa.
Arrivare a Zannone è incontrare una terra rigogliosa di macchia mediterranea e gariga. Data la sua importanza naturalistica, infatti, dal 1979 è compresa nel territorio protetto del Parco Nazionale del Circeo: è completamente disabitata, se si escludono alcune saltuarie e temporanee presenze di guardie ecologiche. Anche la storia ne testimonia la purezza ambientale: vi sono state rinvenute soltanto tracce antropiche risalenti alla preistoria e, più di recente, il minimo impatto di un convento benedettino.
Il Varo, l’unico approdo sicuro, è situato in direzione di Gavi, e da qui si diparte il sentiero che accompagna a una bella passeggiata, fra meraviglie geologiche, ricca vegetazione e scorci innumerevoli. Beh, non sorprendetevi troppo se incontrerete un muflone: tutto normale, la specie è stata qui introdotta negli anni ’20, ed è soltanto una delle numerose particolarità faunistiche. Intanto gli endemismi: insetti, lucertole e ragni. Fra i vegetali, qui è presente un unico esemplare di quercia castagnara, e poi fiori e specie tipiche di macchia. Falco di palude e falco pellegrino si possono osservare facilmente nel periodo migratorio, oltre a una ricca avifauna.
Via, ora, decisamente verso sudest: prima di sera dovremo raggiungere Ventotene, per la visita al gruppo di isole di influenza napoletana dell’arcipelago. La sua forma di capodoglio addormentato a pelo d’acqua si staglia inequivocabile e a poco a poco si avvicina. All’imbrunire, questo borgo marinaro ancora così caratteristico – e assai meno mondano di Ponza – ci appare del tutto familiare a prima vista. Il faro e la rampa che conduce al castello, la simmetria delle forme e i colori tenui delle costruzioni fanno venir voglia di ancorare nuovamente in rada, seppure qui sia possibile ormeggiare in uno straordinario e ben conservato porto romano. Le luci dell’isola e i quieti rumori del mare accompagnano questa nostra notte.
Il sole di oggi sorge da Santo Stefano, che da qui dista appena un miglio. Ventisette ettari anch’essi di origine vulcanica, l’isola è caratterizzata assolutamente dal carcere circolare fatto costruire nel periodo borbonico da Ferdinando IV, che registrò il passaggio di numerosi personaggi, di cui il più noto è senz’altro l’ex-Presidente della Repubblica Pertini. È disabitata e fa parte con Ventotene della Riserva Naturale Statale omonima.
Una passeggiata sull’isola maggiore, abitata comunque da poche centinaia di persone, è consigliata per tornare lentamente alla realtà sociale, dopo questo viaggio di natura selvaggia alle Pontine. Risalendo dal porto la tipica rampa verso il castello, la vista è interessante dal parco, fra agavi, fichi d’india e la caratteristica vegetazione mediterranea. Negozi e locali accompagnano l’escursione, ma non è raro incontrare, verso il porto, pescatori e semplici residenti che propongono speciali sott’oli, conserve e ricette di pesce preparati artigianalmente: a caro prezzo, ma una prelibatezza.
Un ultimo tuffo in questa natura, nient’affatto metaforico, lo meritano le belle immersioni promesse da questi fondali: i nudibranchi di Punta Pascone, il tunnel subacqueo della Secca dell’Archetto (escursione piuttosto impegnativa, con profondità fino a 50 metri) ricco di anemoni di mare e spugne, le grotte di Punta dell’Arco e – per chi ama il genere – il relitto della Santa Lucia, un traghetto di linea affondato nel ’43 da un attacco aereo e poggiato sul fondo sabbioso.
Il sole di domani sorgerà da altri lidi, perché il viaggio continua. Le Pontine comunque sapranno toccare l’animo mille e mille volte ancora, a chi vorrà amarle e visitarle in silenzio.