Qui oggi è già domani.
Non solo per il fuso orario che obbligherà le lancette del vostro orologio a fare un salto in avanti di 8 ore, ma perché il calendario tradizionale stabilisce la nascita della Korea nel 2333 a.C. con la venuta al mondo del mitico Re Tan’gun. Per gli antichi qua siamo nel 4341 d.C.. Praticamente nel futuro.
E ve ne accorgerete subito. La Korea del Sud è super cablata, digitale e ipertecnologica con la capitale Seul sede di colossi industriali come Samsung, Hyundai e LG. Ogni secondo, e non è un modo di dire, vengono prodotti fantastici gadget o ultimati progetti rivoluzionari. Il nuovo che avanza è un robot che dovrebbe dare una mano in casa e che pare verrà immesso nel mercato a prezzi abbordabili già dal 2010. Cosa farà? Sicuramente compagnia!
Non è difficile girare la città: taxi neri più a buon mercato di quelli bianchi, metropolitane sicure e veloci, ma anche una buona rete di Tourism Point.
Nonostante tutto però, avere una guida risulterà utile. Dai menù alle insegne, salvando la segnaletica stradale, tutto è scritto nei 24 segni hangeul, una scrittura bella e arzigogolata, ma per noi indecifrabile. A questo si aggiunga che pochi coreani parlano inglese, anche con i gesti si rischia di sbagliare perchè sono differenti dai nostri. A Seul vi sentirete praticamente ciechi, sordi e muti.
La frenesia è come una guaina che permea tutto. Sulle strade, affollate giorno e notte, corrono automobilisti incuranti dei limiti di velocità e dei pedoni. Nei locali nessuno pare trovare il tempo per una chiacchiera amena. Solo lavoro, business e affari. Seul è un grande mercato. Rodeo street, la via Montenapoleone coreana, salotto elegante, ordinato ed esclusivo dove gli acquisti sono accessibili soltanto alle movie star locali. Samcheong-dong, da poco tempo vi brulicano le gallerie d’arte ultima scoperta della buona borghesia indigena, ricorda la Londra di Soho. Insa-dong street nella zona storica della city è la preferita dalle nuove generazioni non solo per le firme trendy, ma come luogo di ritrovo. Gyeongdong Market, sei piani di bancarelle aperte fino alle cinque del mattino dove trovare tutto, dal portacellulare in plexiglass alle imitazioni perfette di borse griffate. E poi c’è Cheong Gye, sorta praticamente dal nulla soltanto tre anni fa, una futuristica strada di circa 2 chilometri costruita grazie a 900 billioni di won, la moneta locale (in euro circa 660 milioni) dove passeggiare lungo le sponde del suo ruscello artificiale. E ovunque, toelette pubbliche asettiche scintillanti e inossidabili.
Gli investimenti fatti si vedono. Vetro, cristallo ed acciaio sono una costante nelle architetture. Tutto riflette, in un macroscopico gioco di specchi. Torri lucenti, sculture futuristiche, ponti avveniristici, palazzi tempestati di parabole, svettano nelle vie dai nomi impronunciabili sparando nelle insegne multicolori al neon, contrasto nel contrasto, quegli stessi caratteri con i quali si scriveva nel 15° secolo sotto il Regno di Sejong il Grande (l’inventore di questo alfabeto).
Oggi Seul è soprattutto una città in bilico tra conservare le tradizioni o fregarsene. Anche in cucina. L’ultima moda è una “nouvelle gastronomia” a base di piatti italiani rivisitati, come capita di trovare nel menù del Seoul Tower, un ristorante girevole a 260 metri di altezza dal quale mettere a fuoco dove portano i 4 segni cardinali e in che punto il fiume Han divide in due la città tagliandola da ovest a est. Costruita inizialmente per diventare un centro di telecomunicazioni, la torre è stata poi comprata da un gruppo che ha fiutato un business culinario. Ci metterete due ore per fare l’intero giro e i menu completi (bevande a parte) non superano i 60 euro.
Se invece vi affaccerete nelle cucine dei ristoranti, scoprirete che le donne non sono soltanto le regine delle case. Ancora forte l’infinito retaggio dove l’universo femminile deve occuparsi dei classici lavori, anche se sono molte ad emanciparsi grazie allo studio. Avere due o tre lauree è diventato quasi la norma. Famoso il detto coreano preso in prestito dal mondo rosa “Una persona che non ha studiato è come una bestia calzata e vestita”.
Non è stato così per Choi Wol-yoon, 91 anni, un fascio di rughe a renderla interessante a prima vista, operaia presso la Pungmi Food. Questa azienda produce 600 tonnellate al giorno di kimchi, il re dei piatti tipici coreani conosciuto sin dal 1397, quando ebbe inizio la dinastia Joseon. Un piatto che sta risvegliando l’attenzione delle industrie occidentali in quanto è oramai considerato uno dei 5 cibi salutari del mondo. A questo mix di fresche verdure crude e peperoncino rosso piccante, viene infatti attribuito un incredibile potere, sia curativo che di prevenzione. Sarà per questo che nel 2007 il kimchi ha avuto il permesso di essere consumato nello spazio?
Choi Wol-yoon conosce bene Seul. L’ha vista pulsare ancora prima che il Sud della Korea fosse diviso dal Nord all’altezza del 38esimo parallelo. Lei c’era quando nel 1945 la Russia e gli Stati Uniti non riuscirono a mettersi d’accordo su un’amministrazione congiunta. E mentre il Nord seguì la politica comunista russa, il Sud gli preferì quella capitalista americana. Da allora nulla è cambiato e i due Stati, come due arti disarmonici di uno stesso corpo, procedono a velocità differenti.
E come migliaia di famiglie coreane anche Choi conosce bene il dolore della separazione. Quando la penisola fu divisa in Nord e Sud, fu costretta a lasciare al di là del nuovo confine alcuni membri della propria famiglia. Che non potè più rividere.
Per questo a 50 km da Seoul, la DMZ, zona smilitarizzata, viene presa d’assalto ogni anno non solo da frotte di turisti. Si tratta di un’area cuscinetto tra le due Koree, lunga 248 km e larga 4, attualmente il confine più armato del mondo e, per paradosso, anche santuario ecologico in quanto da decenni vi vivono indisturbati animali e piante. Esattamente al centro si trova Panmunjeon, il villaggio dove nel 1953 venne firmato l’armistizio. Una realtà fatta conoscere al mondo da JSA – Joint Security Area – un film del regista coreano Park Chan-Wook che, non essendo stato censurato, ha fatto prima il botto ai botteghini di Seul e poi ha varcato i confini internazionali arrivando in concorso a Berlino.
Prima di arrivare a Panmunjeon, mentre visiterete Imjingak, Dora Station o il Terzo Tunnel, respirerete realtà opposte. Da una parte un’atmosfera decadente e nostalgica con il cosiddetto The Bridge of Freedom (ponte della libertà) calpestato nel 1953 da oltre 12 mila prigionieri che passandoci sopra fecero rientro a casa dopo la Guerra di Koera (fu definito anche ponte dei ricongiungimenti). Oggi la gente ci arriva, fa la foto e appende su un albero un fiocco giallo per dire – noi non dimentichiamo-. Stesso luogo, atmosfera da guerra fredda. Al fine di proteggersi, nell’area di demarcazione tra questi due Stati il controllo militare è serrato. Sarete circondati da giganteschi rotoloni di filo spinato, torrette di avvistamento e soldati armati fino ai denti. Non solo, ma per accedere dovrete presentare il vostro passaporto. A quel punto un filo di ansia sarà lecita.
Il Governo pare non preoccuparsi di questo stato di cose, però continua ad armarsi. Un recente piano stabilisce che i soldati entro il 2016 saranno dotati di attrezzatura ad alta tecnologia, elmetto a prova di proiettile, uniformi a prova di raggi infrarossi e stivaletti rinforzati antimine. E, con la sua forte spinta progressista, un consumismo sfrenato, una generazione femminile in preda al look, divorzi al 10% entro il primo anno di matrimonio, aborti facili se il secondo figlio non è un maschio, l’amministrazione non si cura nemmeno troppo dell’universo contadino, l’unico ancora in contatto con la sacralità della natura, preferendo galoppare dritta verso i record. L’ultimo è quello di avere sviluppato un sistema di trasferimento wireless ultraveloce, in grado di inviare tre gigabite di dati al secondo.
Soltanto nel cuore dei palazzi legati alle varie dinastie regnanti del passato, unioni di arti, scienze e religioni, dal buddismo al confucianesimo, riuscirete a respirare un clima non turbinante. Se non volete fare chilometri stanando quelli sparsi sulle montagne, Gyeongbokgung, farà al caso vostro. Nascosto tra i grattacieli di Seul, ogni giorno regala una cerimonia dove ammirare gli splendidi abiti dei potenti del passato.
Mentre sarete a Seul comunque non potrete non avere un pensiero: quanto di questo Paese sia già in Italia. Nelle nostre strade con gli immigrati e le automobili Hyundai, nelle nostre case con i computer e i televisori Samsung, nelle nostre erboristerie con il ginseng, nelle nostre palestre con il taekwondo (addirittura tre gli atleti italiani che andranno alle Olimpiadi di Pechino 2008), nei Teatri come La Scala dove Chung Myung-whun direttore d’orchestra coreano ha diretto concerti e avuto applausi a scena aperta.
La Korea del Sud continua ad anticiparci ogni giorno un pezzo del suo futuro.