Ne sono testimone. Se il motto del parco regionale del Queyras, nel dipartimento delle Alte Alpi francesi, è “Un secret à partager”, ovvero un segreto da condividere, oggi lo svelo senza dubbi. L’itinerario di ecoturismo che in questo numero proponiamo è, ripensando a tutte le mete degli ultimi tre anni, decisamente quello più corrispondente a chi ancora cerca luoghi naturali.
Anche la ragione di questa affermazione – come del resto tutto, qui – è semplice. Direi naturale, nel senso più letterale del termine. È infatti questa una zona racchiusa in una valle alpina, che si sviluppa tra i 1.500 e i 3.300 metri di quota, situata giusto al confine con il Piemonte italiano: i valichi storici sono il Colle dell’Agnello, chiuso per neve per la maggior parte dell’anno (è agibile nei tre mesi estivi), che a circa quindici chilometri da qui collega il Queyras alla Val Varaita cuneese; e il Col d’Izoard verso la Valle Susa, comodamente raggiungibile da Torino e dai grandi centri padani (l’ideale per un viaggio ecologico è il tgv, discesa Oulx, per proseguire con i mezzi pubblici attraverso strade panoramiche che subito si addentrano in paesaggi lenti). Questo isolamento ha conservato il segreto fino ad anni recenti: e l’istituzione del parco naturale, nel 1977, con il preciso obiettivo di tutelare la risorsa più preziosa del luogo, ha fatto il resto.
Oggi il Queyras è la meta per eccellenza di chi vuole immergersi in una natura davvero intatta: anche nella mentalità degli abitanti, che qui sono appena duemilacinquecento, ripartiti fra gli otto piccoli borghi alpini che a varie quote solcano la valle del Guil.
Se ne trovano così tanti esempi, sul posto, che è bene riordinare le idee. Intanto il paesaggio: chiara impronta alpina, con alte cime rocciose, pinete, pascoli erbosi per greggi e mandrie che d’inverno diventano pendii per sciatori, gruppi di case in materiali di provenienza locale, e al centro il fiume Guil.
Tutto ciò che è stato fatto dall’uomo è funzionale alla vita dura di montagna, semplice e rigoroso nella sua aderenza al contesto ambientale: architetture dove abbonda l’uso del legno di larice più resistente ai parassiti, frequenti decori detti rosas intagliati con abilità paziente nei lunghi inverni casalinghi, canalizzazioni dotate di chiuse per le acque piovane costruite fino a 2.400 metri di quota ad uso irriguo.
Ovunque, a vederli, sono presenti esempi di ecologia pratica allo stato puro: dove l’uomo, per una volta, è soltanto uno dei protagonisti del territorio, e non un’arrogante comparsa che piega l’esistente alle sue necessità.
Dunque godere di un viaggio e un soggiorno nella natura del Queyras invita a ritrovare valori dimenticati, e ad aprirsi all’esperienza di un approccio nuovo.
Ancora sorrido con intima soddisfazione al pensiero dell’accoglienza a “La Maison de Gaudissard” di Molines-en-Queyras, hotel di stile montano che, oltre alla vista panoramica sulla valle, dal ’68 garantisce ampie camere per turisti che non hanno mai avuto bisogno di chiavi.
Oppure alle visite guidate che Robert Franceschi organizza con l’attività intrapresa ad Abriès con la stessa istintiva spontaneità che animava la sua passione, dal nome evocativo di “Le qu’est-ce qu’on mange”, cioè quel che si mangia: quel che si mangia, qui in Queyras, si trova fuori, nei pascoli, nei boschi, nel fiume, nei campi; soprattutto in primavera, quando uscire per una passeggiata con un cesto intrecciato al braccio è come andare al mercato.
Si ritorna a casa con erbe, fiori, antichi segreti che vengono – anche questi – condivisi e tramandati: c’è da augurarvi di partecipare a una di queste lezioni di biodiversità, erboristeria, nutrizione e naturopatia a cielo aperto, per poi approdare alla tavola di uno dei ristoranti che propongono un autentico menu a chilometri zero, con l’immancabile agnello locale, magari condito con un pesto fresco di achillea, un’insalata di foglie e fiori di erbe selvatiche, formaggi e patate di questa terra, marmellate, mieli, bacche dagli aromi introvabili e dalle suggestioni irripetibili.
Senza dimenticare le innumerevoli possibilità outdoor offerte dal territorio: tutto quel che c’è là fuori, proprio come un tempo, si conserva e si gode in una maniera, anche questa, squisitamente naturale.
Come ha fatto Vincent, nel 1993, arrivato fin qui dalla valle della Loira, spinto dalla passione per gli sport d’acqua e giunto al Guil, il fiume che – gli avevano detto – è il più bello di tutto l’Hexagone: dev’essere vero, se qui ha stabilito la sua residenza e la sua attività, e oggi noleggia attrezzature per il rafting e la via ferrata sulla riva, accompagnando con l’entusiasmo di allora le comitive nelle escursioni guidate. Lo si può trovare presso il chiosco in legno di “QueyRaft”, a Château-Ville-Vieille, quando non manovra uno dei suoi gommoni o non arrampica la parete del duecentesco Fort Queyras.
O i numerosi ciclisti che sfidano annualmente il Col d’Izoard, ambita tappa del Tour de France. O i bikers, che dispongono qui di chilometri di sentieri e piste per ogni difficoltà. Per non parlare di escursionisti a piedi o con gli asini, dei patiti del volo libero, dei pescatori di acqua dolce, degli alpinisti o di semplici famiglie con bambini. Tutti troveranno qui un’accoglienza familiare e un ambiente capace di svelarsi, giorno dopo giorno.
Sotto questo cielo, d’estate, non c’è solo la natura del Queyras, né soltanto l’esclusivo supermercato di Robert, né solo il privilegio della libertà di condividere segreti d’altri tempi. Qui vanno in scena anche la cultura, l’arte, il cinema. “Grandeur Nature” (5 luglio – 14 agosto 2010) è un festival internazionale dal calendario ambizioso quanto prestigioso, che propone installazioni e creazioni en-plein-air, proiezioni notturne in alta definizione stesi sui prati rischiarati dalla luna, testimonianze di una nuova ecologia che guarda alla tradizione ma comunica con gli strumenti dell’era 2.0.
Il Queyras di cui sono testimone è dunque un ponte: un luogo di confine che lega terre e culture nel segno della sua natura maestosa, e che scandisce con la vita dei suoi abitanti un nuovo tempo. Il tempo di un ritmo ritrovato con le origini dell’ambiente e di noi stessi, l’approccio ecologico ad un territorio, lo sfruttamento sostenibile delle risorse animali e vegetali, un’accoglienza che comprende una rieducazione alimentare, abitativa, comportamentale. Ecco il segreto da condividere.