Meglio non fidarsi delle apparenze. A pensare alla Liguria, spesso arriva alla mente quell’arco di roccia e mare fitto di costruzioni edili, affollato di stabilimenti balneari nella buona stagione, punteggiato di centri abitati che non presentano soluzione di continuità. E di alcune città di antico fascino marinaro, case dai colori pastello che ancora resistono nei borghi più curati, e quegli Appennini brulli, dove il dislivello è subito forte, ed in alcuni tratti crea gole, grotte, mentre in altri più solatii consentì la costruzione di terrazze per coltivarvi olivi, fiori e frutti di consolidata fama.
Uno dei momenti dell’anno migliori per la visita naturalistica di questi luoghi è la fine dell’inverno: il clima è quasi sempre mite, spesso asciutto e ventoso, e la bassa stagione turistica consente non poche soddisfazioni agli appassionati birdwatchers. Uccelli marini ed avifauna in genere si possono osservare con una certa facilità, e la primavera precoce regala fioriture selvatiche e scorci di grande suggestione, che già si accompagnano ai delicati profumi della macchia mediterranea e della gariga.
Oggi abbiamo deciso di percorrere – e segnalare – uno degli itinerari naturalistici di Borgio Verezzi, che si snodano in differenti lunghezze e dislivelli tra il paese costiero di Borgio e l’abitato in pietra di fondazione saracena di Verezzi, situato ad oltre trecento metri sul livello del mare a ridosso del monte Orera.
Proprio il versante che collega i due centri, unificati nel 1933 nella stessa municipalità ma caratterizzati allora come ora da profonde differenze ambientali, architettoniche e sociali, è disseminato da un reticolo di sentieri, in parte originali mulattiere, in parte acciottolati di recente restauro, che si sviluppa nel pieno di un ambiente naturale spontaneo e integro, intervallato qua e là da fasce di terrazze e coltivi, e che costituisce l’antico complesso viario di collegamento tra il mare e il monte.
È questa una zona particolare del Ponente Ligure, lontana per molti versi dai luoghi comuni che le si potrebbero attribuire, che svela passo passo caratteristiche interessanti. Innanzitutto, questa è la patria del cappero, arbusto molto decorativo che vanta un posto di rilievo nella vegetazione tipica locale: ancora oggi viene coltivato sui muri in pietra calcarea così numerosi da queste parti, dove trova condizioni ideali per lo sviluppo. Si presume che la sua diffusione sia avvenuta ad opera degli arabi, che ne apprezzavano le virtù medicinali e culinarie, così come accadde per il melograno, altro arbusto con duplice funzione produttiva e ornamentale, originario dell’Iran e della regione caucasica e anch’esso introdotto qui, presumibilmente dai fenici.
Ma il vero simbolo vegetale di quest’area può dirsi senza alcun dubbio il carrubo. Percorrendo gli acciottolati dei sentieri citati, si arriva a mezza costa ad un incrocio che celebra il cosiddetto carrubo del buongiorno, dove borgesi e verezzini anticamente usavano incontrarsi per scambiare merci e prodotti. L’habitat roccioso e il terreno molto permeabile, dalla disponibilità idrica ridotta, risultano assai adatti a questa bellissima pianta, che mantiene in ogni stagione una chioma folta e foglie tondeggianti, di colore verde intenso, da cui pendono i caratteristici bacelli dal sapore dolce e delicato.